Stipendi, carriera e livelli di stress. La fotografia della qualità del lavoro in Italia
Scarse prospettive di carriera e livelli di impegno fisico e di stress troppo elevati sul posto di lavoro sono le principali criticità indicate dai lavoratori italiani. Tra gli elementi percepiti invece come abbastanza adeguati risultano retribuzione, orari, riconoscimento del merito e supporto relazionale. È quanto emerge dall’indagine longitudinale e pluriennale quanti-qualitativa “Italian Lives” (Ita.Li) promossa dall’Istituto IASSC del dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell’Università di Milano-Bicocca, che si basa su un campione di 5mila famiglie, per un totale di 9mila individui che appartengono a 280 Comuni di tutta Italia. Si tratta di una survey realizzata nel 2019 per ricostruire il corso di vita di tutti i membri delle famiglie selezionate dal momento della nascita a quello dell’intervista, in relazione a diversi ambiti, tra i quali la mobilità geografica, l’istruzione, la carriera lavorativa, la costituzione delle unioni e la nascita dei figli.
Secondo i dati raccolti, il 54,4% del campione considera scarse le prospettive di carriera, il 56,2% ritiene che il lavoro lo impegni molto fisicamente e il 59,3% si sente sotto pressione per ritmi e scadenze temporali. Tra le varie conseguenze ci sono l’innalzamento di infortuni e incidenti sul lavoro, e la grande quantità di posti vacanti nonostante le numerose offerte di lavoro.
Il 60% del campione concorda invece che la retribuzione sia adeguata, che il lavoro svolto abbia un adeguato riconoscimento, che gli orari di lavoro si concilino abbastanza con gli impegni familiari e sociali e il 58,2% degli intervistati sostiene di ricevere supporto e aiuto da colleghi e vertici.
Dalla ricerca emerge però che, in un contesto generale in cui si entra sempre più tardi nel mercato del lavoro (a causa di un innalzamento progressivo dell’età di completamento degli studi), le donne appartenenti alla Generazione X e Millennial siano in una posizione più svantaggiata. Queste ultime infatti studiano di più rispetto ai coetanei maschi ed entrano più tardi nel mercato del lavoro (indicativamente a 24 anni, contro i 21 anni dei coetanei uomini). Tale differenza di genere, secondo la survey, è da imputare alla persistenza di stereotipi, norme, modelli culturali e carenza di domanda di lavoro che penalizzano in primo luogo le donne meridionali. Va comunque sottolineato che nelle generazioni più recenti l’età mediana delle donne al Sud si è ridotta significativamente, segno di un profondo cambiamento culturale e di un allentamento della specializzazione dei ruoli di genere.