Flessibilità oraria: l’arma in più per attrarre sempre più talenti
Il 2021 e il 2022 verranno ricordati, per quanto riguarda il mondo del lavoro, come gli anni delle “Grandi dimissioni”. Un fenomeno iniziato nel mondo anglosassone e arrivato rapidamente anche dalle nostre parti. Nel solo 2022, in Italia, sono stati 2.2 milioni i lavoratori che hanno deciso di dimettersi. Difficile trovare una sola motivazione che spieghi questo trend, che peraltro non si è ancora completamente esaurito. Sono svariate le ragioni che hanno portato così tante persone a compiere questa scelta e sulle “Grandi dimissioni” si è scritto e si continua a scrivere moltissimo. Alla base del fenomeno spesso e volentieri c’è un nuovo modo di intendere il lavoro e soprattutto il bilanciamento tra vita privata e lavoro. Una nuova mentalità, figlia della pandemia e del lockdown, ha portato milioni di lavoratori, soprattutto quelli che anagraficamente vengono catalogati come Millenials e Generazione Z, a ricercare uno stile di vita diverso, in cui il lavoro non riveste più un ruolo centrale. Basti pensare ai risultati della ricerca “Hopes and Fears Global Workforce survey” di Pwc, uno studio che ha lavoratori provenienti da 46 nazioni diverse e che vede il 26% degli intervistati intenzionati a cambiare lavoro nei prossimi 12 mesi contro il 19% del 2022. Numeri in linea con quelli italiani dove un lavoratore su quattro (25%) si dice pronto a cambiare lavoro entro 12 mesi, numero che cresce al 32% tra i Millenials e addirittura al 37% per la Generazione Z.
Un cambio di mentalità, questo, che si riverbera inevitabilmente anche sull’altra faccia della medaglia, quella che riguarda le assunzioni. In un mercato del lavoro sempre più fluido, dove i talenti si riconoscono sempre di meno con le aziende per cui lavorano, attrarre e trattenere lavoratori qualificati è sempre più importante. Ecco allora che la nuova parola d’ordine sembra essere “flessibilità” e se da un lato alcuni colossi come Tesla, JP Morgan, Amazon, Meta e Google stanno richiamando in ufficio i loro dipendenti (anche in Italia), dall’altro i singoli lavoratori cercano un modello diametralmente opposto, che permetta loro di organizzare la vita nel miglior modo possibile attraverso la flessibilità oraria. Ecco spiegato, allora, il successo di chi, invece, è sempre più disposto a offrire un orario di lavoro flessibile o quantomeno ibrido. A suffragare questa tesi, sono i numeri di una ricerca effettuata da Scoop, società che offre soluzioni software per il lavoro ibrido e People Data Labs, un’azienda di tecnologia dei dati.
Secondo il “The Flex Index July 2023 Job Growth Report” confezionato dalle due società e che ha visto coinvolte 4.500 grandi aziende negli ultimi 3 mesi, negli USA le compagnie che offrono un lavoro completamente flessibile hanno aumentato le assunzioni dell’1.9%, contro lo 0.8% di quelle che non forniscono ai dipendenti alcun tipo di flessibilità. Un dato che si inserisce in un trend ormai ben delineato. Negli ultimi 12 mesi, infatti, le aziende con orari totalmente flessibili hanno visto la loro manodopera crescere del 5.6%, quelle che offrono un sistema ibrido del 4.1%, mentre quelle che non offrono alcun tipo di flessibilità si sono fermate al 2.6%, meno della metà.
Dalla ricerca emerge un altro dato interessante è legato al limite massimo di giorni in ufficio che i lavoratori sono disposti ad accettare. Le aziende che offrono una presenza in ufficio compresa tra uno tre giorni la settimana sono riuscite a continuare nel loro percorso di crescita (+4.4% di nuovi assunti), a differenza di quelle che impongono una presenza in ufficio a tempo pieno che sono cresciute praticamente la metà (+2.6% come detto in precedenza). Numeri che non stupiscono, se si pensa che secondo il “Deloitte Global GenZ and Millennial Survey” dello scorso maggio, 4 lavoratori su 5 appartenenti alla Gen Z o Millenial sarebbero pronti a lasciare il posto attuale se gli venisse chiesto di tornare in ufficio a tempo pieno. Insomma, la flessibilità sembra essere un fattore irrinunciabile per i lavoratori, soprattutto per i più giovani e in mercato del lavoro sempre più complesso, può diventare un’arma decisiva per le aziende.
*Articolo pubblicato per la prima volta sul numero di agosto-settembre 2023 di Touch Point Magazine