Fringe benefit, il welfare torna nelle mani dell’azienda (e la contrattazione?)
Il raddoppio della quota esentasse non passa da accordi con i sindacati. Massimiliano Nobis (Fim Cisl): “Solo con la contrattazione si possono qualificare i servizi erogati”
Non tutti i protagonisti del welfare hanno accolto con favore il raddoppio della quota esentasse dei fringe benefit. Il rischio? Che si torni a una forma superata di welfare, la cui gestione ricadrebbe solo sull’azienda, con l’esclusione delle parti sociali. A lanciare l’allarme sono stati proprio i sindacati, secondo i quali si tratta di una misura ‘unilaterale’, in quanto concessa dal datore di lavoro senza un accordo e quindi senza contrattazione. Un’altra criticità riguarda la durata della misura che, al momento, vale solo per il 2020.
Come già anticipato su Tuttowelfare.info, tra le novità del decreto Agosto del Governo c’è il raddoppio della quota esentasse dei fringe benefit: il limite passa dai 258,23 euro precedenti a 516,46 euro per acquistare beni e servizi di varia natura complementari alla remunerazione principale che non concorrono alla formazione di reddito da lavoro.
Si tratta di una misura di welfare aziendale che era attesa da tempo, ma che fa anche discutere in ambito sindacale, dove l’unilateralità viene considerata un elemento da modificare in direzione della contrattazione. Oltre a chiedere che il raddoppio a 516,46 euro sia confermato per i prossimi anni e non solo per il 2020, i sindacati vorrebbero quindi che fosse collegato alla negoziazione tra le parti.
La conferma arriva dalla Fim Cisl, il sindacato dei metalmeccanici: “Raddoppiare la quota era un’azione dovuta da tempo, anche se con la crisi del 2008 la sua concezione iniziale è stata snaturata”, commenta Massimiliano Nobis, Segretario nazionale Fim Cisl con delega al welfare contrattuale. “In passato la misura è stata utilizzata e inserita in molti contratti aziendali come flexible benefit. Il decreto prevede invece un’erogazione unilaterale in cui è solo il datore di lavoro a decidere se e quanto erogare entro il 2020”.
Ricondurre a un aspetto contrattuale questa misura, secondo Nobis, è importante perché ciò “va a qualificare la prestazione dei servizi e dei beni serviti ai lavoratori andando incontro maggiormente alle loro reali esigenze”.
Senza una contrattazione, dunque, i lavoratori rischiano di non avere voce in capitolo e “si trovano ad accettare la decisione del datore di lavoro ed eventualmente a scontrarsi contro il ‘muro’ della dirigenza aziendale”. Nobis sottolinea come non si tratti di un elemento retributivo, ma complementare alla retribuzione e “ciò dovrebbe trovare una forma di contrattazione per essere valorizzato nelle sue potenzialità”.
Come è noto, su questi importi le aziende non pagano tasse e contributi, ma “non deve diventare una scorciatoia retributiva”, avverte il sindacalista. Il timore, per i rappresentanti dei lavoratori, è dunque quello di poter accedere agli sgravi previsti per il welfare, senza però passare dagli accordi: un unicum, se si pensa che persino la versione on top, in realtà, ha almeno bisogno di un regolamento scritto.
Al Ministero dell’Economia, però, si fa presente che la norma potrebbe offrire alle parti sociali uno strumento in più nel rinnovo dei contratti, nonostante il rischio esattamente opposto, visto che il raddoppio del tetto dei fringe benefit consentirebbe, di fatto, di impostare piani di welfare escludendo il sindacato. Certo, questo scenario andrebbe nella direzione opposta a quella immaginata in passato con le modifiche al Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir), il cui obiettivo era coinvolgere anche i lavoratori per individuare i servizi idonei a soddisfare necessità specifiche.
Ecco perché Nobis commenta così: “Può essere un elemento di aiuto nella contrattazione, ma al momento non sono arrivati segnali di disponibilità dalla controparte. Il contratto metalmeccanico è scaduto e questo tema va inserito nella contrattazione nazionale per cogliere le nuove opportunità che il Fisco dà al welfare aziendale”.
ASCOLTA L’INTERVISTA A NOBIS NEL PODCAST ‘WELFARE CONFIDENTIAL’
Quanto alla durata limitata al 2020 della misura, Nobis ha un’opinione chiara: “Capiamo che in questo momento si cerchi di stimolare i consumi, però bisogna avere una visione strategica di medio-lungo periodo. Il welfare deve rimanere una parte del ‘pacchetto retributivo’ e deve essere qualificato in relazione ai servizi. Affidarsi a un provider dovrebbe assicurare una ‘certificazione’ di qualità di questi servizi, altrimenti il rischio di formule ‘fai da te’ è che ne perda la qualità del servizio. “Per esempio, ci sono piattaforme di welfare che promuovono i consumi di prossimità nei negozi vicini a casa, qualificando in questo modo la spesa”.
Quindi, da semplice aiuto fiscale per i lavoratori (e per le aziende), con la contrattazione il raddoppio del limite dei fringe benefit esentasse “può aiutare una maggiore attenzione sociale e un equilibrio di comunità e territoriale. Altrimenti diventa un welfare consumistico su beni che non sono realmente necessari per alzare la qualità di vita dei lavoratori”.
In generale, secondo il sindacato non deve toccare al welfare aziendale aiutare la ripresa del sistema-Italia: “Si tratta di una parte delle azioni da mettere in campo per aiutare la ripresa, un aspetto complementare di aiuto per le necessità dei lavoratori e per trovare un equilibrio tra un welfare contrattuale e un welfare State pubblico”, conclude Nobis, secondo cui “occorre sedersi a un tavolo per confrontarsi sia con la parte datoriale sia con le istituzioni e anche con la sanità pubblica. Ciò permetterebbe di valorizzare il welfare pubblico, che oggi è in sofferenza per mancanza di risorse, e di aiutare le famiglie dei lavoratori nelle difficoltà quotidiane”.
E si torna al ‘vero’ welfare che, come nella volontà del Legislatore nella legge di Bilancio 2016, avrebbe dovuto sostenere lo Stato negli ambiti in cui iniziava a faticare. Che ne sarà, dunque, di quel welfare?