Smart working: un vantaggio o un peso sulle bollette?
Diversi sondaggi dimostrano che lo smart working è una soluzione molto apprezzata da tanti lavoratori, in quanto consente di conciliare al meglio vita privata e professionale. Allo stesso tempo però, gli stessi sondaggi mettono in luce un cambio di tendenza in atto, dovuto al caro bollette: sempre più lavoratori sembrano ora preferire l’ufficio per evitare i maggiori costi di luce e gas nelle loro abitazioni. Facciamo allora il punto sui diversi punti di vista.
Lo smart working piace a imprese e lavoratori (soprattutto al Nord)
Nonostante una grande fetta di mansioni sono considerate “non remotizzabili” (80%), soprattutto nelle piccole imprese, più della metà delle aziende intervistate (il 55%) che hanno sperimentato il lavoro da remoto vorrebbero continuare a utilizzarlo, e lo stesso vale per il 76,5% dei lavoratori. È quanto emerge dal rapporto “Attualità e prospettive dello smart working. Verso un nuovo modello di organizzazione del lavoro?”, presentato da Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche). I ricercatori hanno intervistato 15mila occupati (da almeno 18 anni) e 5mila imprese del settore extra-agricolo.
Il maggior utilizzo dello smart working si registra nelle imprese del Nord Est (70%), seguite da quelle del Nord Ovest (53%) e del Centro (57%), mentre il Mezzogiorno raggiunge una quota del 30% (dove si potrebbe ulteriormente spingere sul southworking, afferma Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp).
Per il 66% dei datori di lavoro, lo smart working incrementa la produttività e consente il risparmio dei costi di gestione degli spazi fisici. Inoltre, per il 72% degli imprenditori il lavoro agile aumenta il benessere organizzativo e migliora l’equilibrio vita-lavoro dei dipendenti.
Dal punto di vista dei lavoratori è il miglioramento della qualità della vita lavorativa ad essere particolarmente apprezzato: per l’80% migliora l’organizzazione e la gestione degli impegni privati-familiari, per il 72% favorisce una maggiore autonomia rispetto a metodi, orari, ritmi, e luoghi di lavoro e soprattutto, il risparmio di tempo negli spostamenti (90%).
Meno spostamenti, meno inquinamento
La diminuzione degli spostamenti, con relativi tempi e costi, è stata al centro anche di un’indagine presentata alla Bologna Business School, ‘Smart & Value’, esperimento nato dalla collaborazione tra Stantec e Dilium con il Sustainability & Circular Economy Lab, in collaborazione con l’Università di Bologna e Manageritalia Emilia-Romagna.
Dal dossier emerge che in sei mesi di smart working parziale (2-3 giorni a settimana), oltre 300 dipendenti di 11 aziende hanno evitato spostamenti per oltre 700mila chilometri ed emissioni di CO2 pari a quelle assorbite in un anno da una foresta di 32 ettari. Hanno così risparmiato costi, tempo (-14.000 ore di spostamento casa-lavoro) e guadagnato in benessere e qualità della vita. Tanti anche i benefici per le aziende, che hanno così dipendenti più sereni, collaborativi e produttivi.
Maggiori investimenti in tecnologia anche nelle micro imprese
Tornando alla ricerca dell’Inapp, sono le medie e grandi imprese a registrare i valori più alti nel ricorso allo smart working, rispettivamente il 63% e 78%. Tuttavia anche la metà delle micro imprese che lo ha utilizzato guarda avanti: il 31% di quelle con fino a 5 addetti ha investito in tecnologie e software a supporto delle attività smart e il 28% di quelle con 6-9 addetti ha modificato i propri spazi di lavoro tradizionali.
Nel complesso, circa il 47,3% dei lavoratori intervistati vorrebbe continuare a utilizzare lo smart working per più di un giorno alla settimana, il 16,7% a tempo pieno, mentre il 12,5% per un giorno solo.
I nodi dei rapporti umano e dell’iperconnessione
Venendo alle criticità, per circa la metà dei lavoratori e delle imprese il remote working complica i rapporti fra colleghi e con i responsabili e aumenta l’isolamento. Inoltre molti degli impiegati d’ufficio (51,7%%) e lavoratori in ruoli di alta dirigenza (44,8%) – i profili che più hanno usufruito del lavoro agile – affermano poi di aver dovuto essere sempre reperibili e connessi.
Dietrofront per il caro bollette e la questione dei buoni pasto
Sempre secondo i conti dell’Inapp l’impennata dei prezzi delle bollette di luce e gas sta spingendo al dietrofront i lavoratori nel settore pubblico e privato sulla preferenza allo smart working: con gli stipendi sempre più esposti all’inflazione e la prospettiva dell’aumento delle bollette nei mesi invernali, solo il 20% dei lavoratori sarebbe disposto a guadagnare meno per mantenere il lavoro da remoto per una parte della settimana, soprattutto in assenza di rimborsi per il caro-energia. Un numero crescente di lavoratori sembra dunque preferire tornare in ufficio per far ricadere questi costi sui datori di lavoro.
Inoltre c’è anche la questione dei buoni pasto, che nella maggior parte dei casi non sono previsti per gli smart worker. Dai sindacati aumenta la pressione perché si stabiliscano delle compensazioni prima di firmare gli accordi individuali con cui è regolato lo smart working. Benché nel nuovo contratto per gli statali non ci sia una vera e propria chiusura verso gli indennizzi per gli smart workers, al momento non risultano disponibili fondi da destinare a questo fronte.
Per quanto riguarda i privati, le aziende hanno convenienza a incentivare lo smart working: secondo un report del Politecnico di Milano, un’azienda che tiene a casa i propri dipendenti risparmia nell’immediato circa il 30% tra spese di affitti, utenze e buoni pasto. Risparmio che, sempre secondo il Politecnico, può essere quantificato “tra i 4 mila euro e i 6 mila euro a dipendente, rispettivamente per 6 e 9 giorni di smart working al mese. E il risparmio sale fino a 10 mila euro all’anno per ogni dipendente che lavora esclusivamente in modalità agile”.
LEGGI ANCHE: