Previdenza, seminare oggi per raccogliere domani
Aumentano gli anni di lavoro e gli italiani sfruttano questo tempo per preparare il giorno del ritiro. E i dati dell’ultima ricerca del Centro Studi Einaudi lo confermano: meno del 50% si aspetta di lasciare l’impiego prima dei 70 anni. Ma l’obiettivo è avere un giorno assegni più ricchi a fine mese.
Le aspettative pensionistiche risalgono e si fanno strada le assicurazioni per i rischi sulla salute e sulla longevità. Sono questi i trend che emergono dall’ultima ricerca del Centro Studi Einaudi, in collaborazione con Intesa Sanpaolo, sul risparmio degli italiani.
L’indagine mostra gli effetti del cambiamento del sistema pensionistico e come si stanno affermando strumenti di welfare aziendale, tra cui le assicurazioni sanitarie, in base ai mutamenti delle aspettative e delle necessità dei lavoratori. Nel dettaglio, nel 2018 il 62% del campione intervistato dai ricercatori del Centro Einaudi si attendeva di ritirarsi in pensione tra i 66 e i 70 anni di età, ma nel 2019 la percentuale è scesa al 50%. È salita invece la pensione media mensile attesa, passata da 1.175 euro nel 2018 a 1.323 nel 2019.
Inoltre, il saldo percentuale tra coloro che si aspettano di avere un reddito sufficiente e non sufficiente al momento di andare in pensione si è portato tra il 2018 e il 2019 dal 31,2 al 42,4% del campione, il massimo degli ultimi 15 anni. Solo il 13,7%, ha dichiarato di essersi dotato di un fondo pensione.
È migliorata però la comprensione della varietà dei bisogni legati all’invecchiamento. Nel 2019, infatti, non solo è aumentato l’acquisto dei prodotti di bancassurance, sia ramo vita sia ramo danni, ma sono affiorate percentuali alte di sottoscrittori di polizze e di forme assicurative e di welfare aziendale rivolte a soddisfare i bisogni nel campo della salute (14,4%) e della invalidità nella vecchiaia (long term care, 15,8%).
Per Giuseppe Russo, Direttore del Centro Studi Einaudi, la ricerca ha mostrato anche come “negli ultimi tre anni i bilanci delle famiglie abbiano riacquistato parte della prosperità perduta durante la lunga crisi: il saldo tra coloro che ritengono sufficiente o insufficiente il reddito per sostenere il tenore di vita corrente sale nel 2019 al 69% degli intervistati, massimo storico del decennio”.
Il ritorno del ceto medio
In pratica è tornato a irrobustirsi il ceto medio. Le tre fasce centrali di reddito del campione, che includono coloro che percepiscono dai 1.500 ai 3.000 euro al mese, si sono attestate al 57,5% rispetto al 51,7% di tre anni prima. Approssimativamente, 1,3 milioni di famiglie, secondo i dati del 2019, sono rientrate a far parte del ceto medio o vi sono entrate per la prima volta, riallargandolo. Gli italiani, quindi, hanno ripreso a risparmiare e lo hanno fatto soprattutto con l’obiettivo della sicurezza (62,2% contro il 59,6% nel 2018) e al secondo posto si è confermato il bisogno di liquidità (37,9%).
Ma il 63% dei patrimoni è rappresentato da case. Gli intervistati hanno dichiarato il possesso di una ricchezza finanziaria media pari 101mila euro (3,9 volte il reddito medio); la ricchezza immobiliare è invece pari a 169mila euro. Ne deriva una ricchezza complessiva per intervistato di 270mila euro (al netto delle quote di aziende), che sale rispettivamente a 355mila e 384mila euro nel caso dei laureati e dei professionisti e imprenditori.
Nei 12 mesi precedenti l’Indagine il 6,7% del campione ha investito in case (8,7% nel 2018 e 5,7% nel 2017), ma solo il 3% circa l’ha fatto per acquistare o cambiare la propria prima casa. Gli altri acquisti sono stati realizzati per ragioni collegate all’impiego ereditario o per avere un reddito aggiuntivo nella vecchiaia. Gran parte del campione, infatti, ha condiviso che la casa possa offrire un’entrata integrativa al momento della pensione e solo il 22% circa ha conosciuto il “prestito vitalizio ipotecario”.
Pensar bene per vivere meglio
Un focus dell’indagine è stato dedicato agli “ottimisti”, cioè gli italiani che “progettano il loro futuro, coloro che nell’ultimo decennio, hanno realizzato almeno un investimento immobiliare o in un’attività economica o professionale, investito in un corso di specializzazione, istruzione o formazione, creato o allargato il nucleo famigliare, hanno avuto sul lavoro riconoscimenti e miglioramenti”, ha spiegato Russo. In media gli ottimisti guadagnano 283 euro netti al mese in più rispetto al campione principale. Per gli uomini tale differenza è leggermente inferiore, per le donne supera i 400 euro.
Il giudizio sul risparmio è sostanzialmente lo stesso tra gli ottimisti e il campione principale. Sono emerse invece differenze sulle motivazioni: tra gli ottimisti prevale il risparmio intenzionale (ovvero diretto a scopi specifici), che riguarda quasi il 34% delle famiglie, contro poco meno del 26% del campione principale. Sempre per gli ottimisti, l’ambizione per la casa è il motivo principale del risparmio intenzionale per il 41,3% (23,6% per il campione generale); i figli sono la principale ragione del risparmio per il 21,5% (14,6%); tra gli ottimisti che risparmiano per i figli, il 63% accantona per la loro istruzione. Meno sentita tra gli ottimisti è la necessità di risparmiare per la vecchiaia (9,4 contro 16,%) e, soprattutto, per motivi genericamente precauzionali.
Pur limitati nelle competenze finanziarie, gli ottimisti hanno la caratteristica di ‘vedere lontano’. Tra loro vi è infatti sia una maggiore diffusione delle forme pensionistiche di secondo o terzo pilastro, sottoscritte dal 19,2% (contro il 13,7% del campione principale) che un maggior impiego del TFR a fini previdenziali (34,2 contro 29,8%). Quasi un quinto degli ottimisti ha un’assicurazione sanitaria; anche le polizze LTC e le polizze vita sono leggermente più diffuse tra gli ottimisti rispetto al campione principale.
Quasi il 43% degli ottimisti valuta in modo positivo l’esito della propria scelta. Il 36% intende investire per ingrandire l’attività economica nuova o cercare soci per condividerla; oltre un quarto ha in animo di investire ancora in beni immobili; tra chi è migliorato lavorativamente, l’86,6% ha giudicato molto o abbastanza promettenti le prospettive di lavoro. “I dati sembrano suggerire che l’ottimismo paga, o almeno ha pagato, e che i comportamenti proattivi nell’impiego del risparmio e del tempo sono la chiave che ha portato quattro famiglie su 10 a progredire più della media del campione, nonostante le sfide concrete cui il mondo economico, del lavoro e delle imprese, le ha sottoposte”.