Le cooperative sociali innovano il welfare
Un’alternativa al welfare pubblico sono i servizi messi a disposizione dal Terzo settore, che per il suo carattere innovativo e pionieristico e per il maggiore radicamento sul territorio è in grado di ampliare e migliorare l’offerta del welfare state.
Si chiama Social welfare, comunità impresa coesione ed è il nome del progetto ideato da Consorzio solidarietà sociale (Css) di Forlì e Consorzio Solco di Ravenna, a sostegno di nuove iniziative di welfare avviate dalle imprese del territorio romagnolo. Il progetto ha lo scopo di rendere le cooperative sociali protagoniste di un’idea innovativa di welfare aziendale, anche in contesti in cui i lavoratori sono, allo stesso tempo, soci. Le cooperative si ritrovano sempre più spesso ad avere un doppio ruolo di beneficiarie ed erogatrici di servizi.
Social welfare si propone di condividere asset strategici per lavorare sul territorio romagnolo, promuovendo la costruzione di piani di welfare che tengano conto dei reali bisogni dei lavoratori, trovando per essi risposte locali e di qualità, svolgendo così una funzione di natura connettiva tra il luogo di lavoro e altri contesti. Per agevolare la gestione dei piani di welfare propone, inoltre, una piattaforma digitale innovativa e di grande impatto, capace di intercettare le esigenze delle imprese e quelle dei loro lavoratori.
Integrare i servizi del pubblico
In Emilia-Romagna il ruolo del cooperativismo è storico e determinante, sia per lo sviluppo dell’economia locale sia in termini di occupazione e servizi. Si tratta non solo di una concreta alternativa al settore pubblico, ma anche di una possibilità – in questo caso complementare – di ampliarne e migliorarne l’offerta di servizi.
Non solo: il doppio sguardo, di erogatori e beneficiari, rende le cooperative un punto di osservazione e una fucina di sperimentazione molto adatta alle innovazioni che si rendono indispensabili alla luce dei cambiamenti sociali in atto.
Paolo Venturi, Direttore di Aiccon, l’Associazione italiana per la promozione della cultura della cooperazione e del non profit, definisce “rischioso” l’isomorfismo che “alcune cooperative possono avere nei confronti dell’ente pubblico che le finanzia”. Per superare l’impasse dell’orientamento esclusivo dato dai fondi pubblici, dal momento che, dice Venturi, “l’interesse generale non è dato da chi finanzia, ma dalle finalità dell’azione”, la soluzione è che le cooperative diano nuova linfa al rapporto con il territorio.
Secondo il Direttore di Aiccon – autore, insieme con Franca Maino (Percorsi di secondo welfare), del libro curato da Martina Tombari, Pubblico, territoriale, aziendale. Il welfare del Gruppo Cooperativo CGM (ESTE, 2019) – “occorre tornare nelle comunità, partendo da interessi pubblici, ma senza che gli enti finanziatori orientino l’azione in modo esclusivo, ma, anzi, esplorando nuovi mercati, per diversificare maggiormente le attività”.
I bisogni di chi è occupato stanno cambiando e “stanno emergendo paradossi come i working poor”, ricorda Venturi. Non si può non tener conto che il 30% dei lavoratori è caregiver, che ogni anno 36mila donne non rientrano al lavoro dopo la maternità, che il tema della conciliazione dei tempi di lavoro e vita è cruciale per l’aumento dell’occupazione e anche della natalità.
Proporre un’alternativa ai provider
Ecco che, però, secondo Venturi “le cooperative sociali non possono fermarsi a questa analisi proponendo lo stesso prodotto erogato all’interno dei sistemi di affidamento pubblico. Nel welfare aziendale le cooperative devono ricercare una loro biodiversità rispetto ai classici provider”.
Se le piattaforme possono migliorare l’accessibilità e ampliare le possibilità di scelta, non è comunque detto che i beneficiari siano in capaci di compiere tali scelte”: la soluzione di Venturi non è individualizzare le scelte, perché “questo porterebbe inevitabilmente a delle diseguaglianze”.
Piuttosto, per superare la logica on demand delle piattaforme, “la soluzione è porre al centro il legame sociale”. Secondariamente, “le persone devono essere prese in carico in maniera personalizzata”. Solo la personalizzazione consente il passaggio dal mutuo beneficio alla mutua assistenza, “come nel caso dei social point, luoghi in cui il lavoratore può recarsi per costruire un percorso legato ai propri bisogni”.
In terzo luogo, è fondamentale, secondo Venturi, “scegliere bene i fornitori dei servizi”. In questo entra in gioco il legame con il territorio, “perché, per fare la differenza, è indispensabile valorizzare i soggetti fornitori su base comunitaria, generando così ricadute positive in termini di reti di prossimità e occupazione”.
Valorizzare imprese locali, infatti, “non impatta positivamente solo sull’economia del luogo, ma anche sull’efficacia della misura di welfare, perché permette ai beneficiari maggiore facilità di fruizione del servizio prescelto”. L’utilizzo di un provider generalista, infatti, potrebbe limitare le possibilità di scelta da parte dei lavoratori, dal momento che molti dei servizi proposti potrebbero non essere proprio disponibili nel territorio di riferimento.
Da ultimo, “l’impresa sociale ha il vantaggio di avere una relazione storica con la Pubblica amministrazione”: lavorando spesso per e con le istituzioni, infatti, le cooperative sono in grado, meglio di qualunque altro soggetto, di “analizzarne i bisogni e di rispondere con strumenti adeguati svolgendo una funzione di broker”.
Venturi cita il caso del Comune di Tradate in provincia di Varese, “in cui il welfare aziendale viene integrato ai servizi già offerti dal pubblico”: nessun altro provider potrebbe mai competere con questa funzione di intermediazione, propria del Terzo settore e dell’impresa sociale.
Per orientare in questa direzione la Pa, secondo Venturi diventa fondamentale “la formazione di Welfare Community Manager: una nuova generazione di professionisti in grado di progettare servizi sociali innovativi, implementando nuovi servizi territoriali, passando da un welfare pubblico-privato di tipo compensativo, a uno realmente capacitante”.