La Great resignation colpisce anche l’Italia. Gli ultimi dati sul lavoro
La Great resignation, cioè le dimissioni di massa che aveva interessato soprattutto gli Stati Uniti durante la pandemia da Covid19, è una realtà concreta e massiccia anche in Italia. A confermarlo sono le tabelle dell’ultima nota trimestrale sulle comunicazioni obbligatorie del Ministero del Lavoro. In Italia, nei primi nove mesi del 2022, oltre 1,6 milioni lavoratori si sono dimessi: il 22% in più rispetto allo stesso periodo del 2021 quando ne erano state registrate più di 1,3 milioni. Nel solo terzo trimestre dell’anno scorso, le dimissioni sono state pari a 562mila, in crescita del 6,6% sul terzo trimestre 2021.
Cosa spinge tutti questi lavoratori a dimettersi? La principale motivazione è soprattutto la ricerca di un miglior equilibrio tra vita privata e lavoro e di una maggior valorizzazione professionale. Il salario e la carriera quindi non appresentano le motivazioni fondanti del cambio di posto di lavoro, ma si pongono sotto la ricerca del benessere a 360 gradi. Indipendentemente dal settore si ricerca un ambiente lavorativo che rispetti la persona, le permetta di esprimersi al meglio e di valorizzare le proprie competenze.
“Il fenomeno delle dimissioni volontarie che, apparentemente in contraddizione con l’alto tasso di disoccupazione, continua a crescere nel nostro Paese, ci interroga profondamente sul cambiamento del mercato del lavoro indotto anche dal ‘periodo di riflessione’ consentito dal lockdown durante la pandemia” ha commentato Giulio Romani, il segretario confederale della Cisl. “La recente indagine Inapp sulla qualità del lavoro ci offre però una chiave di lettura del fenomeno assolutamente coerente con la situazione italiana. Le imprese in cui si sviluppa benessere lavorativo e qualità del lavoro risulterebbero essere una minoranza, non casualmente le stesse in cui la produttività risulta particolarmente elevata, la più alta d’Europa”.