Investire nei fondi pensione con la logica life cycle

Investire nei fondi pensione con la logica life cycle

La scelta migliore è diversificare nel tempo. La componente azionaria, prevalente a inizio carriera, dovrebbe ridursi progressivamente all’avvicinarsi del pensionamento. Una strategia ancora poco diffusa tra gli aderenti ai fondi pensione in Italia.

 

Per costruire la propria integrazione pensionistica, il lavoratore deve aderire al fondo pensione collettivo di riferimento del proprio piano di welfare aziendale e investire in maniera adeguata il proprio risparmio previdenziale. Il flusso di versamenti si compone del proprio contributo, di quello del datore di lavoro, la cui misura è determinata dall’accordo collettivo di riferimento, e dal Tfr.

 

Dal momento che la previdenza complementare si basa sulla capitalizzazione (a differenza della previdenza obbligatoria strutturata sulla ripartizione, per cui i contributi versati dai lavoratori in attività finanziano il pagamento delle pensioni) assume una particolare rilevanza il comparto del fondo pensione che si sceglie. Come investire allora?

 

 

Individuare l’obiettivo e diversificare l’investimento

 

La premessa è che la scelta di investimento va ricondotta in una dimensione più ampia di pianificazione previdenziale, che va dal check up per individuare il gap da colmare, ovvero la differenza tra ultima retribuzione e futura pensione, alla individuazione delle risorse finanziarie che si possono destinare al fondo pensione in coerenza con le disponibilità offerte dal proprio budget familiare, alla individuazione della soluzione previdenziale cui aderire (se si è lavoratori dipendenti è conveniente aderire alla proprio forma pensionistica collettiva di riferimento per avere diritto al contributo datoriale), fino alla scelta della linea di investimento. Il punto di partenza è l’individuazione dell’obiettivo finanziario che occorre perseguire, vale a dire una crescita continua e costante nel tempo minimizzando il rischio nell’ambito dell’orizzonte temporale di partecipazione.

 

Il comportamento da assumere è quello di diversificare sia in senso orizzontale, ripartendo il proprio flusso contributivo tra più linee (per esempio allocando il Tfr in una linea garantita, considerando che se si mantenesse il Tfr in azienda si avrebbe diritto al tasso di rivalutazione legale pari all’1,5 fisso più il 75% dell’inflazione) sia in senso verticale, nel tempo. È la strategia che si definisce “life cycle”, secondo cui l’esposizione all’investimento azionario è da prediligere ad inizio carriera per tendere poi gradualmente alla riduzione o all’annullamento approssimandosi l’età di pensionamento.

 

 

Meccanismi automatici e comparti “data target”

 

Talvolta i fondi pensione prevedono la possibilità di investire in meccanismi preordinati di tipo life cycle, una sorta di pilota automatico. L’investimento del singolo aderente viene quindi spostato da una tipologia iniziale di investimento “di crescita” (con un forte investimento in azioni) a una tipologia di investimento più “prudenziale” all’avvicinarsi del pensionamento.

 

Con la stessa logica talvolta i fondi pensione utilizzano comparti cosiddetti “data target”, la cui scadenza coincide con la data di pensionamento del risparmiatore; lo stesso fondo pensione, di solito di tipo aperto, prevede diversi data target per soddisfare diverse età pensionabili (di solito si emettono comparti con scadenze ogni 5 anni, per esempio Data Target 2030 Data Target 2035, Data Target 2040).

 

A fine 2018 sono due i fondi pensione negoziali che hanno introdotto tale possibilità nonché dieci i fondi pensione aperti con un numero di posizioni in essere di tipo life-cycle pari a 251mila (circa il 31% delle posizioni di tali fondi pensione). In generale, si tratta di percorsi di riallocazione predefiniti che dipendono soltanto dall’età dell’aderente. In alcuni casi, i piani sono articolati anche per livello di rischio. Ed empiricamente come si comportano gli aderenti ai fondi pensione nel nostro Paese?

 

 

Le scelte degli iscritti ai fondi pensione

 

Attingendo alla Relazione annuale della Covip sui portafogli previdenziali degli iscritti, per le classi di età molto giovani, peraltro poco numerose e formate per lo più anche da soggetti fiscalmente a carico, la componente azionaria si posiziona su valori più elevati, in media intorno al 40%. Nelle classi di età che comprendono i soggetti in età da lavoro il peso delle azioni è, invece, sensibilmente inferiore: nell’ampia fascia 25-55 anni, esso oscilla tra il 25 e il 30 per cento, senza differenze significative in base all’età. Oltre i 55 anni, la quota azionaria scende in un intorno del 20-25 per cento. Riguardo al genere, i maschi detengono una percentuale di azioni leggermente superiore a quella delle femmine per tutte le fasce.

 

Le evidenze riscontrate dall’analisi, prosegue la Autorità di Vigilanza, sono pertanto chiaramente indicative di un’assenza di una logica life-cycle, che postula il maggior peso della componente azionaria nei primi anni della carriera lavorativa per poi tendere gradualmente alla riduzione o all’annullamento approssimandosi l’età di pensionamento.

 

In linea di massima, la sostanziale invarianza dell’esposizione azionaria rispetto all’età suggerisce che la quota azionaria nelle età di lavoro più basse può essere considerata subottimale se paragonata alla lunghezza dell’orizzonte temporale mancante al pensionamento. Viceversa, per le età più anziane essa si posiziona su percentuali forse elevate rispetto all’imminente raggiungimento dell’età pensionabile e, quindi, alla necessità di preservare per quanto possibile il montante fino a quel momento accumulato.

 

* Lorenzo Giuli è un esperto di previdenza complementare

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