Il welfare aziendale come veicolo delle politiche pubbliche
L’universo dei servizi mirati al benessere dei lavoratori sta mutando a seguito dell’emergenza sanitaria. Dopo aver smantellato il welfare State di metà Novecento, c’è un’inversione di tendenza a favore del primo modello?
Più territoriale, diversamente integrato tra pubblico e privato, concentrato sui nuovi bisogni emersi con il lavoro da remoto e sui sempre attuali servizi socio-assistenziali. Il welfare aziendale è destinato a evolvere sulla scia dell’emergenza coronavirus. In quale direzione, è ancora in gran parte da chiarire.
Emmanuele Massagli, Presidente dell’Associazione italiana welfare aziendale (Aiwa), quando gli si chiede un parere su come cambierà questo sistema, afferma che “è abituato a emergere dai periodi di crisi”, come appunto quello attuale. “Il welfare aziendale è stato riscoperto nel 2008, durante la crisi economica, quando il tessuto imprenditoriale del nostro Paese si è trovato di colpo a non poter più garantire aumenti ai dipendenti e ha trovato in questo strumento un modo per concedere qualcosa di molto gradito ai lavoratori senza pagare tasse e contributi”, spiega Massagli.
Con la legge di Bilancio del 2016, poi, è entrato di diritto nella gestione del personale come elemento moderno della retribuzione, diventando a tutti gli effetti una leva di attrazione e di competitività, oltre che una modalità di engagement. Negli anni a seguire ha assunto anche una funzione di risposta ai bisogni sociali. “Oggi, con l’emergenza covid, siamo entrati nella quarta fase, quella cioè in cui il welfare aziendale deve diventare, più o meno volontariamente, uno strumento di veicolo delle politiche pubbliche, canalizzando risorse private verso alcuni settori desertificati dalla crisi attuale, come il sistema sanitario, il turismo o la ristorazione”, ragiona il Presidente di Aiwa.
Secondo le stime di Aiwa, sono, infatti, 6 milioni, sparsi in 200mila imprese, i lavoratori italiani che hanno all’attivo un piano di welfare: un tesoretto da non sottovalutare. “Il nostro Paese ha spazi di manovra molto ristretti per quanto riguarda la spesa pubblica, motivo per cui dove lo Stato non arriva deve intervenire la spesa privata”. In questo modo si ovvierebbe alla contrazione dei consumi e allo stesso tempo si incentiverebbe la produttività dei lavoratori, che sarebbero più soddisfatti. “Il legislatore, in Italia, è storicamente frenato nell’utilizzare le risorse private: bisogna abbattere questa diffidenza verso la spesa vincolata”.