Il ruolo delle aziende nel supportare la salute mentale dei dipendenti
Articolo della redazione di Tuttowelfare pubblicato sul numero di ottobre di Touch Point.
La salute mentale, soprattutto in ambito lavorativo, sta diventando un argomento sempre più centrale, soprattutto dopo la pandemia da Covid-19 che ha fatto emergere nuove situazioni di stress e di malessere, con un significativo impatto sul lavoro. L’allarme è stato lanciato dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e l’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), che ha stimato che ogni anno si perdono 12 miliardi di giornate lavorate a causa di depressione o ansia, con un costo per l’economia globale di quasi mille miliardi di dollari. Il Covid in particolare ha provocato un aumento del 25% dell’ansia generale e della depressione a livello mondiale, mettendo in luce una carenza cronica di risorse per la salute mentale a livello globale.
Secondo l’ultimo rapporto Eurispes, tra i disagi più diffusi dei lavoratori figurano carichi troppo elevati di lavoro (44,3%), a cui seguono: rapporti conflittuali con i superiori (34,9%), difficoltà nel conciliare lavoro e famiglia (34,3%), negli spostamenti casa-lavoro (33,6%), assenza di stimoli professionali (31,2%). Circa il 30% invece lamenta rapporti conflittuali con i colleghi oppure malessere psicofisico associato al lavoro. Solo nell’ultimo anno il 32,9% dei lavoratori ha svolto un secondo lavoro, con il conseguente aumento del livello generale di stress. In generale, quello che emerge dal sondaggio è che i lavoratori italiani sono sommersi dal troppo lavoro e manchevoli di spazi per se stessi e per la famiglia.
All’emergere di questa problematica tuttavia corrisponde anche una progressiva presa di conoscenza da parte delle organizzazione e una ricerca attiva di risposte e soluzioni da parte delle aziende. Lo stress lavorativo, denominato formalmente “stress lavoro correlato”, è già riconosciuto nell’accordo quadro europeo, che ne dà la seguente definizione: “una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative riposte in loro.” A soffrirne maggiormente sono solitamente i caregiver (che si fanno carico anche di situazioni personali complicate), i dipendenti eccessivamente zelanti che vanno incontro a bornout e le vittime di mobbing sul lavoro. I sintomi vanno dalla forte stanchezza cronica all’assenza di motivazione, dall’apatia alla mancanza di autostima. Questo stress può anche sfociare in disturbi del sonno, disordini alimentari e difficoltà emotive e relazionali.
Per affrontare e combattere questo problema, molti psicologi ed esperti sono concordi nell’affermare che è necessario agire su più fronti: lavorare sulle risorse personali di ogni individuo per conoscere i segnali di stress e trovare le risorse interne per fronteggiarlo; creare una rete esterna di supporto, soprattutto tra i colleghi ma anche una extra-lavorativa; fare in modo che l’azienda stessa possa intervenire monitorando il clima lavorativo, supportando i propri dipendenti non solo nelle fasi più critiche, ma anche in maniera preventiva, fornendo gli strumenti necessari prima che lo stress infici il benessere della persona.
Il ruolo delle aziende nel favorire la salute mentale sul lavoro è diventato così centrale da essere anche uno dei temi dibattuti durante l’ultimo World Economic Forum a Davos, dove i rappresentanti di diverse imprese si sono confrontati sulle possibili soluzioni al problema. Per esempio, è stato evidenziato che, alla luce della diffusione dello smart working (ottimo per meglio equilibrare vita privata e lavorativa), le aziende dovranno evolversi continuamente e adattare i loro servizi per supportare adeguatamente una forza lavoro più ibrida. Un utile strumento sono i sondaggi interni per far emergere le esigenze dei dipendenti e strutturare politiche di HR dedicate. Lo scopo alla base è quello di combattere stigmi e tabù che ancora permangono nella nostra cultura, anche lavorativa. Bisogna contrastare la visione della salute mentale sul posto di lavoro come un rischio organizzativo. Al contrario, è necessario favorire il dialogo e la sensibilizzazione su questi temi, integrando il benessere psicologico nella cultura aziendale di leadership, prevedendo azioni e approcci concreti che favoriscano un ambiente positivo.
Per farlo è necessario sensibilizzare tutte le persone che lavorano nell’organizzazione, a cominciare dai manager e dagli alti dirigenti: coinvolgerli nelle sessioni dedicate al tema con i dipendenti è un’ottima strategia per dare l’esempio e far sentire maggiormente la loro vicinanza ai dipendenti. La propensione all’ascolto e l’empatia sono alla base di qualsiasi approccio per risolvere il problema e per costruire delle soluzioni che favoriscano la collaborazione e condivisione con colleghi ed esperti.
Nel concreto, alla luce dei risultati raccolti dai sondaggi interni, le aziende dovrebbero preoccuparsi di fornire ai propri team l’opportunità di parlare apertamente della loro salute mentale e di garantire il sostegno di cui loro o le loro famiglie potrebbero aver bisogno. Supporto psicologico, ore di coaching, progetti di mentoring interno sono tutti strumenti assolutamente molto utili per allentare la pressione e lo stress che i dipendenti soffrono in questo periodo di cambiamenti.