Congedo di paternità in Italia: cosa fanno le aziende segna la rotta
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Congedo di paternità in Italia: cosa fanno le aziende segna la rotta

Parliamo di congedo di paternità: cosa fanno le aziende in Italia? Ecco alcune buone pratiche raccontate da chi le ha promosse. Ma prima…

 

 

La cultura qui sembra essere questa: la mamma si prende il congedo, il papà torna al lavoro il prima possibile.

 

Da non credere, ma non si parla della situazione del congedo di paternità in Italia. A pronunciare queste parole è stato, infatti, il professore emerito Peter Moss dell’UCL Institute of Education (IOE), che con “qui” si riferiva appunto al Regno Unito. Paese che sul tema non spicca come modello da seguire, un po’ come il Bel Paese, e che infatti ha visto lo scorso mese la protesta dei bambolotti appesi ad alcune statue di Londra. Protesta che però muove proprio dai papà che richiedono un maggior coinvolgimento nella genitorialità.

 

Ma quindi a chi ispirarsi in Europa? Con un’equa distribuzione di 20 settimane al 100% dello stipendio per ciascun genitore – fino a luglio erano 16 settimane – è la Spagna forse il Paese più avanzato, quello che a oggi ha promosso con misure concrete un maggior coinvolgimento anche dei papà nella cura.

 

Numeri molto diversi da quelli nostrani. Ricordiamo che in Italia, il congedo di paternità obbligatorio è stato introdotto nel 2013 ed è stato progressivamente esteso. Nel 2022, la legge di bilancio ha fissato a 10 giorni il congedo obbligatorio per i padri, da prendere nei primi 5 mesi dalla nascita del figlio, con un’indennità pari al 100% della retribuzione. Tuttavia, molte aziende stanno andando oltre le normative nazionali, offrendo periodi aggiuntivi come misura volontaria di welfare aziendale. Ed è questo il tema che qui andiamo ad indagare.

 

 

Perché è un tema in azienda?

 

In generale, iniziative per promuovere la condivisione dei carichi di cura risultano presenti sia nelle PMI sia nelle imprese di grandi dimensioni. Anzi, a sorpresa sono proprio le PMI che si sono maggiormente impegnate a estendere la durata del congedo di paternità (29,8%) rispetto a quelle di grandi dimensioni (26,0%), come riporta lo studio “Donne, Lavoro e Sfide Demografiche. Modelli e strategie a sostegno dell’occupazione femminile e della genitorialità” realizzato da Fondazione Gi Group e Gi Group Holding in collaborazione con Valore D.

 

Dietro queste politiche, vi è una visione da parte del management del congedo di paternità aggiuntivo non come un costo, ma come un investimento a lungo termine con diversi benefici, tra cui aumento della soddisfazione e della produttività dei dipendenti, riduzione del turnover, immagine positiva e employer branding. Ma forse l’impatto più significativo, anche a livello più alto di Paese, è quello sulla parità di genere. Favorendo una maggiore partecipazione dei padri nelle responsabilità domestiche e di cura si riduce il peso che spesso ricade solo sulle madri, aiutando a combattere stereotipi di genere e favorendo una distribuzione più equa dei ruoli con positive conseguenze anche sull’occupazione e la carriera delle donne.

 

Le organizzazioni possono, quindi, essere facilitatrici, apripista e sperimentatrici di misure e iniziative a sostegno della genitorialità e dell’occupazione femminile, contribuendo anche a un cambiamento culturale nel nostro Paese. E il congedo di paternità è una di queste. Ma vediamo meglio cosa fanno le aziende in Italia.

 

 

Buone prassi aziendali

 

Alcune multinazionali sono in prima linea nell’offrire politiche di congedo parentale avanzate, andando oltre quanto previsto dalla legge italiana. Queste iniziative dimostrano un trend crescente verso una maggiore inclusività e parità di genere nelle politiche aziendali. A livello globale, aziende come IKEA, Facebook e Google hanno adottato politiche simili, garantendo fino a 4 mesi di congedo retribuito per i padri, evidenziando quanto le grandi imprese possano influire sul cambiamento culturale nel mondo del lavoro (perché sì è una questione culturale come vedremo dopo).

 

L’esperienza di aziende italiane, tra cui San Marco Group, OneDay Group e Barilla, offre uno sguardo diretto sulle sfide e sui successi delle politiche di congedo di paternità e sull’impatto a livello di sistema Paese.

 

A tal proposito, se per Simona Liguoro, HR Director Italy di Nestlé Nespresso, “I papà sono pronti, le aziende stanno indicando la strada, ora è il tempo della politica per agire e far sì che il congedo di paternità obbligatorio di 3 mesi diventi una legge di Stato” (come riportato in un suo post LinkedIn), Mariluce Geremia, VP e responsabile HR di San Marco Group non crede “che una normativa o un obbligo possano abbattere barriere culturali sedimentate da decenni: è molto importante, piuttosto, informare e sensibilizzare le nuove generazioni fin dagli ambienti scolastici, oltre che iniziare a farlo concretamente nelle famiglie dando il buon esempio ai propri figli”.

L’azienda di Venezia ha raddoppiato, lo scorso anno, i giorni previsti dall’ordinamento per il congedo di paternità, che raggiungono così quota 20: le giornate di permesso aggiuntive messe a disposizione sono retribuite al 100% e possono essere fruite entro un anno dalla nascita di un figlio, anche in maniera non consecutiva.

Una misura simile a quella recentemente promossa da Pirelli, dove da settembre 2024, come annunciato da Donatella De Vita, Global Head of Welfare, Engagement and DE&I programmes su LinkedIn, “i nostri colleghi neopapà potranno usufruire di un nuovo benefit aziendale, il congedo di paternità aggiuntivo, che prevede ulteriori 10 giorni di permesso retribuito”.

 

In OneDay Group, che abbiamo intervistato, l’estensione del congedo di paternità ad un mese per tutti i suoi team member è realtà dal 2023. Viene retribuito al 100% come le ferie, e va ad aggiungersi ai 10 giorni previsti dalla legge italiana introdotta nel 2022. Il contributo viene esteso ovviamente anche in caso di coppie omogenitoriali ed è utilizzabile sia alla nascita di un figlio, sia in caso di adozioni.

 

Un tema di DE&I ancora più ampio che promuove anche Barilla, a cui è stato riconosciuto, per l’ottavo anno consecutivo in America, “Best Places to Work for LGBTQ+ Equality” con un punteggio del 100% nel Corporate Equality Index 2022, e che in Italia, ha esteso il congedo di paternità da 10 giorni a 12 settimane. “Per questo la nostra policy è rivolta a ogni genitore, a prescindere dal genere, dallo stato maritale, dall’orientamento sessuale e se è adottivo o meno, perché in Barilla siamo consapevoli che ogni famiglia è unica e che non esiste una figura genitoriale più importante dell’altra. Il nostro obiettivo è di creare, entro gennaio 2024, tutte le condizioni necessarie affinché le nostre Persone possano vivere con gioia l’arrivo di un figlio e quello di essere riconosciuti come un’Azienda a misura di genitore” afferma, in una nota stampa, Floriana Notarangelo, Chief Diversity & Inclusion Officer del Gruppo Barilla.

 

Anche grandi colossi del settore farmaceutico hanno introdotto importanti misure. Ne sono esempio Chiesi e Novartis, aziende leader. La prima ha sottoscritto un nuovo contratto integrativo aziendale, valido per il triennio 2024-2026 e che si applica agli oltre 2.200 collaboratori. Tra le misure più rilevanti: il congedo parentale facoltativo retribuito al 100%, il congedo di genitorialità, che integra il congedo di paternità, applicato anche alle coppie omogenitoriali, con 12 settimane retribuite al 100% al posto dei 10 giorni previsti dalla legge, 20 giorni di permessi aggiuntivi per i lavoratori caregiver.

Sulla stessa lunghezza d’onda la seconda, Novartis, che riconoscerà a tutti i neogenitori che lavorano in azienda un congedo parentale facoltativo con un supporto ulteriore rispetto a quello previsto per legge, che prevede una copertura retributiva fino all’80% dello stipendio nei sei mesi di utilizzo. La misura di fatto aggiunge quattro mesi di congedo parentale facoltativo retribuito all’80% ai due previsti dalle nuove norme entrate in vigore nel gennaio 2024.

 

Ma tra la proposta e l’adesione ci sono di mezzo…

 

 

Cultura e generazioni, due questioni rilevanti

 

Partiamo dai numeri. Per quanto riguarda il congedo di paternità e parentale, lo studio “Le equilibriste” condotto da Ipsos per Save the Children evidenzia un cambiamento graduale ma positivo nella società italiana. Circa il 30% dei padri, oltre ai giorni di congedo di paternità previsti, ha scelto di aggiungere ulteriori giorni di ferie per trascorrere più tempo con il proprio neonato. Mentre, nello studio di Fondazione Gi Group e Gi Group Holding in collaborazione con Valore D, viene evidenziato che il tasso di utilizzo del congedo parentale, ovvero il rapporto tra i padri che ne hanno beneficiato e quelli che ne avrebbero avuto diritto, è cresciuto significativamente: dal 19,25% del 2013 al 64,02% nel 2022.

 

Uno scenario in linea a quanto ci ha raccontato Geremia (San Marco Group)Il bilancio (dell’introduzione del congedo di paternità facoltativo in azienda) è molto positivo. I dipendenti sono rimasti decisamente contenti di questa iniziativa, che consente loro di rimanere vicini ai propri bambini nei primi mesi di vita. Da quando l’abbiamo introdotta (primavera 2023), una ventina di lavoratori hanno già approfittato di questa preziosa opportunità”.

 

Ad un anno di distanza dall’adozione della policy della Baby Leave (introdotta nel 2022), anche il Gruppo Nestlé in Italia si è interrogato sui dati e sui benefici nella gestione del neonato e dei carichi familiari da parte del secondo caregiver: l’82% di questi ha usufruito di “Nestlé Baby Leave”, il congedo di 3 mesi retribuito al 100% introdotto dall’azienda a partire dal 2022. Questi numeri confermano che l’iniziativa sia molto apprezzata dai neopapà e spiccano come un esempio particolarmente positivo rispetto alla reale situazione del nostro Paese. Ciò dimostra che c’è spazio per superare i retaggi socioculturali che tuttora investono neogenitori e datori di lavoro.

 

Dicevamo, questione culturale. Geremia (San Marco Group) è d’accordo “I risultati ottenuti sino a ora possono essere ulteriormente migliorati. Alcuni dipendenti, infatti, sono ancora restii a utilizzare giornate aggiuntive di paternità: basti pensare che spesso i padri fanno fatica addirittura a utilizzare le giornate previste a livello di normativa nazionale, probabilmente perché, erroneamente, la donna è identificata come principale punto di riferimento per la cura dei bambini. A questo proposito, quindi, abbiamo lanciato dei corsi di formazione sulla parità di genere e sulla genitorialità, proprio per stimolare le nuove generazioni a occuparsi in modo più equilibrato della gestione dei figli e della famiglia. Deve passare il concetto che i padri non devono aiutare le madri, ma che la responsabilità è condivisa al 50%. Un padre, quindi, non deve più domandare “che cosa posso fare per aiutarti?”: madre e padre devono, invece, essere allineati e condividere il piano genitoriale sapendo esattamente ognuno cosa fare per portare il proprio contributo”.

 

Ma c’è anche un tema generazionale. E lo confermano casi come quello di OneDay Group, realtà la cui popolazione è giovane. E infatti, come ci racconta Elena Pozzetti, People & Culture Business PartnerIl bilancio ad oggi è molto positivo: quasi tutti i neopapà hanno usato il congedo per intero, ed erano contenti di utilizzarlo. Sono stati felici di poter passare più tempo in casa con i loro bambini e di poter supportare il/la proprio/a partner”. Nessuna difficoltà riscontrata, neanche nella gestione “è stato necessario organizzarsi, fare i dovuti passaggi di consegne con i propri team leader e colleghi.
Ma abbiamo gestito tutto con la massima flessibilità, come sempre
”. Questo anche grazie a una cultura organizzativa basata sulla responsabilità, sulla fiducia e sull’importanza dei rapporti umani. “Si lavora per obiettivi” ci dicono e ci ricordano la mission del Gruppo stiamo “diffondendo un nuovo modo di vivere il lavoro”. E non è un caso che “L’età media degli oltre 330 team member di OneDay Group è 31 anni” e che, tornando al tema del congedo di paternità “I neopapà di OneDay hanno tutti tra i 30 e i 35 anni, per cui non abbiamo riscontrato particolari differenze generazionali”.

 

Diverso in realtà in cui convivono, come sempre più accade, diverse generazioni. “Sicuramente vi è una differenza generazionale, sia sul fronte maschile che su quello femminile. Le nuove generazioni invece promettono molto bene, di certo grazie anche a una diffusa sensibilizzazione mediatica: va detto, tuttavia, che ancora troppo spesso sono le madri stesse che si fidano poco a lasciare ai padri la gestione dei figli” sottolinea Geremia (San Marco Group).

 

 

Il diritto di essere padri, quindi. Frase testuale che introduce anche il post di Niccolò Ballerio, un manager di Novartis che ha potuto accompagnare la figlia alla scoperta del mondo fin dai primi giorni di vita.

Se l’azienda promuove iniziative è poi anche il singolo decidendo di coglierle a scrostare gradualmente stereotipi e barriere culturali. La politica arriverà e ne riparleremo.

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