Quota 100 mette i fondi pensione davanti a un bivio
Assegni pensionistici più leggeri significa puntare maggiormente sul secondo pilastro per integrare. Ma la riduzione dell’orizzonte temporale, per far fruttare il capitale investito dai lavoratori, spinge i fondi pensione a rivedere le strategie di investimento.
Uno dei punti fermi della manovra di Bilancio ancora in discussione sembra essere il superamento della Legge Fornero con l’introduzione della Quota 100. Con quale modalità però non è dato sapere visto il perdurare del braccio di ferro con Bruxelles. Certo è che la modifica sulle pensioni che il governo Giallo Verde intende varare avrà il suo impatto sui Fondi pensione complementari. «L’eventuale anticipo dell’età pensionabile ridurrà l’orizzonte temporale di contribuzione e quindi il tempo consentito al lavoratore per risparmiare e per far fruttare l’investimento fatto», ha detto a Tuttowelfare,info Maurizio Agazzi, Direttore generale di Cometa, il Fondo negoziale dei lavoratori metalmeccanici. «Questa cosa avrà un impatto abbastanza consistente su due versanti».
Quali?
Prima di tutto sulla politica di investimento che il fondo dovrà attuare. Il più antico iscritto a Cometa, per esempio, ha 20 anni di adesione. Supponendo che avesse 40 anni quando ha iniziato a versare la quota per la sua pensione integrativa oggi è un lavoratore di 60 anni che con la Legge Fornero avrebbe a disposizione ancora sette – otto anni di capacità contributiva, che con Quota 100 si riducono però a due. Un lasso di tempo troppo breve che lima la capacità di capitalizzazione dell’investimento fatto. Se poi aggiungiamo il fatto che siamo in periodo in cui gli indici finanziari viaggiano a testa bassa con rendimenti vicini allo zero per i buoni del tesoro, si capisce perché dovremo rivedere le nostre politiche di investimento.
Il secondo versante sul quale Quota 100 andrebbe a impattare qual è?
E’ di tipo strutturale. Ovvero bisogna decidere qual è la missione di un fondo pensione. Il sistema pensionistico ha due leve per risolvere i propri problemi: innalzare l’ età pensionabile o ridurre le prestazioni. Con l’innalzamento dell’età pensionabile introdotto dalla Legge Fornero, per chi aveva una capacità contributiva costante, il bisogno del tasso di sostituzione del Secondo pilastro si è ridotto perché si aveva più tempo per contribuire e perché si accedeva alla pensione a una età più avanzata. Ma con Quota 100 si avrà inevitabilmente una riduzione dell’assegno pensionistico che oscilla dal 10 al 30%. In questo quadro diventa fondamentale il Secondo pilastro per andare a integrare ciò che economicamente si perde con il Primo. Finora i fondi pensione si sono strutturati sulla Rita, la Rendita temporanea anticipata, ma ora in ottica Quota 100 tutto cambia.
Dunque?
Dunque è un problema. Teoricamente il Secondo pilastro dovrebbe essere talmente flessibile da adeguarsi a tutte le scoperture o le modifiche del Primo pilastro. Ma le leggi fondamentali dovrebbero avere una permanenza nel tempo adeguata. Una legge sul sistema pensionistico può avere delle revisioni legate alla crescita del Pil, all’aumento della prospettiva di vita, ma non può cambiare radicalmente e pretendere che il Secondo pilastro si adegui a ogni cambiamento. Proprio per questo i fondi pensione ora devono decidere se continuare a essere flessibili o se orientarsi verso la loro mission originale, ovvero integrare l’assegno pensionistico.
Voi quale strada pensate di intraprendere?
Finché non si vede la Legge nella sua versione definitiva decidere in merito è difficile.
Lei prima ha detto che con Quota 100 dovrete rivedere le vostre politiche di investimento. In che modo intendete ripensare la vostra asset allocation?
Nello specifico è presto per dirlo ma in linea generale dovremo verificare se gli investimenti individuati finora sono adeguati agli obiettivi di una mutata situazione economico-finanziaria. Ma a questo penseranno i gestori finanziari a cui abbiamo affidato mandati multi asset attivi. A noi, invece, spetterà fare una riflessione strutturale che riguarda gli investimenti illiquidi e in particolare la percentuale da destinare in termini di sviluppo del Paese. Un fondo pensione negoziale come il nostro ha infatti due obiettivi in termini di risultato: consegnare a lavoratore alla fine del lavoro un capitale che le consenta di avere una rendita pensionistica, e un rendimento sociale, nel senso che gli investimenti che noi facciamo dovrebbero anche essere in grado di produrre benessere per nostri aderenti anche a livello sociale. Il lavoratore è anche un cittadino e in quanto tale deve poter usufruire di servizi sociali per sè e per i propri figli. Ovviamente il tutto in un’ottica prudenziale che è quella che ci ha sempre contraddistinto.
E che a volte vi ha messo al centro delle polemiche…
Siamo sempre stati prudenti negli investimenti anche per un senso di responsabilità nei confronti dei nostri associati molti dei quali trovano nel fondo l’ unica forma di risparmio. Quindi occorre sempre equilibrare costi e benefici. A oggi riteniamo che, almeno nell’ambito della difesa del potere di acquisto del risparmio, del superamento del Tfr, che è il nostro benchmark occulto, e dei benefici fiscali, abbiamo reso un buon servizio ai nostri aderenti. Lo dimostra la differenza tra chi ha aderito al fondo e chi non lo ha ancora fatto che, a parità di anzianità e reddito, è considerevole anche in termini di risparmio economico.
In percentuale quanti sono i lavoratori che hanno aderito al vostro fondo?
Il 40% circa, per un totale di 400 mila iscritti, ai quali vanno aggiunti altri 200 mila lavoratori che hanno già percepito le prestazioni in capitale o in rendita. Quindi in 20 anni la platea di persone che è transitata dal fondo è costituita da più di 600 mila persone.
Ma c’è sempre un 60% di lavoratori metalmeccanici, soprattutto giovani, che non hanno questo strumento…
Vero e perdono indubbiamente un’occasione. Sul target dei giovani, così come sui lavoratori che non hanno aderito ancora al fondo a causa di una bassa consapevolezza circa la sua importanza, l’informazione e l’educazione finanziaria è fondamentale.
Su questo fronte voi come vi state muovendo?
Con la nostra news letter Cometa news da oltre un anno facciamo educazione finanziaria, anche con l’aiuto di professionisti della comunicazione. L’obiettivo è semplificare al massimo i messaggi e renderli comprensibili a una platea sempre più vasta. Del resto le nuove adesioni si possono conquistare in due modi: attraverso l’obbligatorietà, che però compete a chi legifera o alle parti istitutive, e attraverso la consapevolezza. A noi il compito di lavorare su quest’ultima. In questa direzione vanno anche le altre iniziative che portiamo avanti sul fronte della comunicazione per un investimento socialmente responsabile al Fondo di previdenza integrativa come il nostro sito web, i volantini e le guide per fare promozione nelle aziende, le informazioni annuali per gli iscritti e non, le assemblee nei luoghi di lavoro e l’attività di formazione per i delegati.
Attività che stanno funzionando?
L’interesse sta aumentando e lo rileviamo sia attraverso l’apertura e la lettura della nostra news letter, sia attraverso l’utilizzo di nuovi strumenti. Per esempio abbiamo creato un’app informativa per gli aderenti scaricata da un ampio numero di persone.
Resta il fatto che il basso ingresso nel mondo del lavoro dei giovani pone il vostro fondo, come tutti gli altri, davanti a un problema di sopravvivenza, come pensate di affrontarlo?
Vero, il giovane non aderisce perché il nostro mercato del lavoro è complicato, ma anche per una questione culturale e sociale. In banca i giovani con lavoro precario non entrano per avere informazioni su fondi pensione e anche quelli che lavorano nelle Pmi a volte faticano ad accedervi. Per questo bisogna lavorare molto sulla comunicazione spogliandoci dalla presunzione di saper parlare a tutti. Dobbiamo cercare nuovi e più adeguati linguaggi per raggiungere le nuove generazioni, quelle che più di qualsiasi altra hanno bisogno di protezione se si vuole garantire loro un futuro.
Missione più che mai difficile vista la loro sfiducia. Non hanno un lavoro, non avranno la pensione figuriamoci se pensano a quella integrativa…
In realtà proprio perché non hanno la prima che si dovrebbero preoccupare della seconda. E’ uno scoglio ancora una volta di tipo culturale oltre che sociale. E per il superamento di questo le famiglie e la politica hanno una enorme responsabilità. Bisogna iniziare a raccontare la foresta che cresce. I governi che si sono succeduti negli ultimi anni hanno sottovalutato la sfiducia delle nuove generazioni. Sarebbe ora di invertire la rotta prima che sia troppo tardi.