E’ la pensione la croce degli italiani

E’ la pensione la croce degli italiani

In pensione più tardi e con un assegno più leggero. Il concetto è ormai chiaro alla maggior parte degli italiani. Che però continuano ad avere una bassa cultura previdenziale e finanziaria. Lo conferma anche l’ultima indagine sul Risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani di Intesa Sanpaolo e Centro Einaudi.  

 

Dalla Riforma Fornero in poi per gli italiani sono stati anni di grande pessimismo. La maggior parte pensava di non riuscire a mantenere lo stesso tenore di vita durante la vecchiaia a causa di assegni pensionistici sempre più leggeri. Ma ora è tornato l’ottimismo. A dirlo è l’ultima indagine sul risparmio degli italiani condotta dal Centro Einaudi e da Intesa Sanpaolo. In base ai dati della ricerca, infatti, il saldo tra ottimisti e pessimisti sulla possibilità di sostenere il proprio tenore di vita nella vecchiaia  sale al 31,2% (con un tasso di sostituzione medio atteso che si conferma, rispetto al 2017, al 71%), in netto aumento sia sull’anno precedente (+19,1 %), sia sul minimo toccato nel 2016 (+6,7%): il   migliore risultato della serie storica a partire dal 2007.
Così, nella classifica degli eventi considerati minacciosi per sereni anni d’argento, la preoccupazione sul tenore di vita durante l’età della pensione scivola al settimo posto, preceduto dall’interesse per la cura di sé e del proprio partner della vita nella terza e quarta età; dalla necessità di affrontare un lungo periodo di inattività e di calo del reddito, dalla paura di una malattia acuta da affrontare; dal timore di sostenere la spesa per cure dentarie o legate a una malattia cronica.

 

Risparmio previdenziale al palo

 

In questo quadro il risparmio per la vecchiaia nell’ultimo decennio non mostra nuove tendenze particolari: il 20% del campione preso in considerazione dalla ricerca conferma infatti di risparmiare per avere maggiore sicurezza economica nel momento in cui si ritirerà dal lavoro o per affrontare eventuali spese legate alla salute.
Ma resta alta la fetta (12%) di quelli che non sono in grado di dare una risposta su quali saranno  le loro previsioni di reddito nell’età anziana (over 65) . «A conferma del fatto che il principale problema dell’Italia su questi temi è l’assenza di una cultura previdenziale e finanziaria che consentirebbe una migliore comprensione delle questioni e poi soprattutto la capacità autonoma di decidere in modo consapevole e di pianificare per tempo il proprio futuro», spiega Giampaolo Crenca, Presidente del Consiglio Nazionale degli Attuari. «Da tempo noi chiediamo che la formazione scolastica includa tali aspetti, anche perché ormai si è intrapresa la strada, per il sistema pensionistico, del metodo di calcolo contributivo, che dal punto di vita concettuale , finanziario e attuariale è senz’altro più agevolmente comprensibile del precedente metodo retributivo».

 

Gli italiani hanno capito che dovranno lavorare più a lungo

 

In questo quadro il sondaggio di Intesa Sanpaolo e Centro Einaudi evidenzia anche come gli italiani abbiano ormai accettato un lieve incremento dell’età pensionabile anche se con una riduzione dell’assegno. «Questo mette in evidenza un minimo di comprensione da parte della popolazione italiana della relazione esistente tra livello della pensione, età pensionabile e anzianità contributiva, elementi che sono assolutamente correlati», commenta Crenca. E Fabrizio Crespi, Docente di Economia degli Intermediari Finanziari alla Cattolica di Milano e all’Università di Cagliari, precisa: «Con l’aumento della longevità i tassi di conversione in rendita sono infatti destinati ad abbassarsi . Questo significa che in futuro sarà necessario lavorare più a lungo (ove possibile) o accettare una riduzione del tenore di vita, oppure cercare di sfruttare (se vi sono ) altri beni per ottenere liquidità, come potrebbe essere in campo immobiliare, il prestito vitalizio ipotecario per gli over 60».

 

Previdenza integrativa: ci vuole più coraggio fiscale

 

Nonostante tutto però solo il 15% degli intervistati risulta avere sottoscritto una forma pensionistica di secondo e terzo pilastro (fondi e soluzioni assicurative), più di un quarto dei quali attraverso la destinazione del proprio Tfr . A questi si aggiunge il 14% di coloro che non giudicano interessanti i vantaggi fiscali della previdenza integrativa che preferisce far da sé gli investimenti per garantirsi una vecchiaia più tranquilla. «Ritengo che l’incentivazione fiscale alla previdenza integrativa sia troppo complessa e non agevola lo sviluppo della previdenza di secondo e terzo pilastro», commenta Crespi. «Occorrerebbe più coraggio. Per esempio si potrebbe proporre a chi sottoscrive una pensione integrativa una detassazione completa in cambio di una scelta definitiva in favore di una rendita».

 

Poche risorse per pensare al futuro

 

Oltre al problema fiscale a frenare il decollo della previdenza integrativa c’è un problema di disponibilità economica limitata da parte degli italiani, soprattutto fra la popolazione più giovane. Circa il 40% della fascia 35-44 anni, infatti, ha dichiarato nel sondaggio di non riuscire ad avere liquidità da impiegare nella previdenza integrativa.  «E’ necessario uno sforzo da parte degli addetti ai lavori (politica, istituzioni, intermediari, consulenti, accademici),  per cercare di capire come recuperare liquidità sufficiente da destinare alla previdenza integrativa», dice Crespi. «Le soluzioni possono essere diverse: avviare una migliore pianificazione dei consumi; puntare a maggiori incentivi fiscali; studiare forme di accantonamento obbligatorio. Solo per fare qualche esempio. Sul tema il dibattito resta aperto. Una cosa è certa però», chiosa Crespi. «La maggior parte degli investitori non ha ancora compreso che con i rendimenti bassi che caratterizzano e caratterizzeranno il nostro tempo, accumulare un montante contributivo sufficiente per avere una rendita adeguata diventa sempre più difficile».

 

 

 

 

About the Author /

walter.quattrocchi@tuttowelfare.info