Pochi, maledetti e subito
Aumentano gli accordi aziendali e territoriali sui premi di produttività. È un segnale di ripresa della contrattazione aziendale salariale. Ma la strada da fare per far convertire i premi in welfare aziendale è ancora lunga.
Nel secondo bimestre del 2019 sono cresciuti dell’11% gli accordi aziendali e territoriali sui premi di produttività, passando dai 9.923 di febbraio agli 11.023 di aprile. Il dato è emerso dalla seconda rilevazione del 2019 effettuata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sul deposito telematico dei contratti aziendali e territoriali.
Dai dati diffusi si rileva che degli 11.023 contratti attivi oggetto di accordi sulla produttività depositati ad aprile 2019, 9.391 si riferiscono a contratti aziendali (erano 8.394 a febbraio 2019), mentre accordi territoriali, cui ricorrono le PMI senza rappresentanza sindacale, sono aumentati da 1.529 di febbraio a 1.632.
Inoltre, 8.814 dei contratti attivi si propongono di raggiungere obiettivi di produttività, 6.478 di redditività, 5.481 di qualità, mentre 1.479 prevedono un piano di partecipazione e 5.733 misure di welfare aziendale.
Le Regioni dove la contrattazione di produttività è più diffusa risultano quelle del Nord (Piemonte, Emilia-Romagna e Lombardia) con il 77% degli accordi, seguite da quelle del Centro con il 16% e infine dalle aree del Sud che raggiungono il 7%.
Ricorrono alla detassazione dei premi di produzione maggiormente le aziende con un numero di dipendenti inferiore a 50 nella misura del 52%, mentre il 33% delle imprese che risulta avere un numero di dipendenti superiore o uguale a 100; infine, il 15%, di quelle che annovera un numero di addetti compreso fra 50 e 99.
Tassi di conversione dei premi ancora limitati
Per avere una lettura più completa dell’andamento dei premi di risultato detassati è utile ricorrere al recente studio dell’Osservatorio Ocsel della Cisl che ha elaborato i numeri della banca dati del Ministero delle Finanze (Mef) relativi alla tassazione dei redditi dei lavoratori dipendenti avvenuta per l’anno 2017 (dichiarazioni 2018).
Dallo studio si rileva che sono stati 2.038.647 i lavoratori che nel 2017 hanno percepito premi di risultato detassati, con un aumento dell’11,6% rispetto ai 1.869.201 che lo avevano percepito nel 2016: escludendo i dipendenti pubblici – non interessati dalla detassazione dei premi di produttività – viene stimata una percentuale di copertura sul totale dei lavoratori subordinati (21.817.742) che raggiunge il 15%, ossia un dipendente su 10.
“La struttura premiale è un indicatore del coinvolgimento effettivo dei lavoratori nella gestione dell’impresa”, commenta con Tuttowelfare.info Roberto Benaglia, Coordinatore dell’Ocsel. “È una partecipazione che parte dal basso e che si fonda sulla formazione permanente di tutta la forza-lavoro, management incluso, come fattore di vantaggio competitivo”. Il valore medio del premio di risultato percepito nel 2017 dal lavoratore è risultato di 1.270 euro annui, contro i 1.040 euro del 2016, con una media pari al 6,2% della retribuzione annua percepita dai lavoratori.
“Si tratta di un dato in netta crescita, che evidenzia sia il miglioramento delle performance aziendali sia soprattutto una sensibile ripresa della contrattazione aziendale salariale, dopo anni di crisi e di contrattazione difensiva, stimolata dai nuovi incentivi fiscali a vantaggio dei lavoratori”, valuta il sindacalista della Cisl.
Per la prima volta il Mef ha pubblicato pure i dati relativi ai lavoratori che hanno percepito nel 2017 prestazioni di welfare aziendale: ne hanno beneficiato 130.743 persone. In particolare nel 2017 l’opzione di convertire il premio di risultato in welfare era prevista dal 22% degli accordi aziendali e questa possibilità, in media, è stata accolta da meno del 30% dei lavoratori.
“Le scelte sul welfare da parte dei lavoratori si sono indirizzate soprattutto sulla domanda di contributi da destinare alle forme pensionistiche complementari e in secondo luogo sulla richiesta di servizi per i figli, mentre meno ricercati sono stati i contributi per l’assistenza sanitaria o per il rischio di non autosufficienza per la presenza di fondi negoziali sanitari che contemplano già queste prestazioni”, rileva Benaglia.
“Da verificare nei prossimi anni i dati sulla diffusione di servizi di welfare aziendale alternativi alla detraibilità degli stessi”, che fino al 2017 – quindi ad appena un anno dallo stimolo legislativo sul welfare – sono “ancora poco diffusi”.
Ampliare la platea dei beneficiari di welfare
Proprio i dati ufficiali sui premi di produttività e i bassi tassi di conversione del welfare rendono poco chiara la recente scelta di alcuni parlamentari di rivedere il tetto degli importi dei premi per la detassazione e il dimezzamento dell’aliquota di chi preferisce la riscossione in denaro ai beni o servizi di welfare.
Come già analizzato da Tuttowelfare.info, la proposta parlamentare di revisione – contenuta in un pacchetto di interventi principalmente volti ad aumentare l’occupazione femminile – è di aumentare da 3mila a 5mila euro l’importo dei premi di risultato soggetto alla detassazione, dimezzando l’imposta sostitutiva che dovrebbe vedere una riduzione dal 10 al 5%.
“Più che destinare maggiori risorse a chi già è destinatario dei premi di produttività bisognerebbe favorire l’ampliamento della platea dei lavoratori che possono godere della detassazione dei premi di produttività, incentivando la stipula dei contratti territoriali laddove nel caso delle piccole imprese non è possibile la contrattazione aziendale in mancanza di una rappresentanza sindacale”, suggerisce Marco Leonardi, Consigliere economico del Governo Gentiloni.
Il Governo fece inserire, nella manovrina di aprile 2017, l’innalzamento del tetto della detassazione dei premi di risultato dai 3mila euro annui pro capite fino a 4mila per le aziende che avessero adottato piani di partecipazione organizzativa.