Salute mentale e lavoro: un legame con diverse interconnessioni
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Salute mentale e lavoro: un legame con diverse interconnessioni

Salute mentale e lavoro in Italia: quanto possiamo dirci consapevoli? Lo indaghiamo con 5 esperti in questo dossier realizzato in occasione del World Mental Health Day.

 

 

“Per tutte le persone, indipendentemente dal fatto che soffrano di una condizione di salute mentale, i luoghi di lavoro possono essere luoghi che migliorano o compromettono la salute mentale” Organizzazione Mondiale della Sanità – OMS

 

 

Quello tra lavoro e salute mentale è un legame facile da cogliere (direi spesso anche sperimentato), ma allo stesso tempo complesso, perché, come si evince dalla campagna dell’OMS, ci sono almeno 3 macro-dinamiche:

 

  1. L’influenza che l’attività professionale ha sul benessere mentale di lavoratori e lavoratrici nella quotidianità, e qui ci si riferisce a gestione dello stress, ansia, fino anche al burnout (per citare solo alcuni aspetti e conseguenze).
  2. L’impatto che determinate condizioni lavorative possono avere sulla vita delle persone, ad esempio è noto che disoccupazione, insicurezza lavorativa e finanziaria e perdita del lavoro sono fattori di rischio per i tentativi di suicidio.
  3. L’emarginazione e le discriminazioni che subiscono le persone con patologie mentali che vedono violato proprio il diritto al lavoro e il diritto di pari condizioni (hanno per esempio, laddove occupate, maggiori probabilità di essere sottopagate rispetto alla popolazione generale).

 

 

Ecco perché ci sembra più opportuno parlare di diverse interconnessioni tra lavoro e salute mentale.
Abbiamo deciso di indagarle e di dipingere un quadro della situazione in Italia in un dossier a due puntate con il contributo di cinque esperti con punti di osservazione diversi: Anna Benini – LianeCare; Francesco Baglioni – Fondazione Progetto Itaca; Riccardo Caserini – esperto di mindfulness; Daniele Francescon – Serenis; Fabio Musumeci – ODM Consulting.

 

 

Ma prima alcuni dati per inquadrare il tema nel contesto italiano:

 

  • 1 dipendente su 3 in Italia nell’ultimo anno si è assentato dal lavoro a causa di ansia o stress (Osservatorio HR Practice della School of Management del Politecnico di Milano).
  • 22 mila le denunce di malattie professionali legate a disturbi psichici o comportamentali nel primo semestre di quest’anno (Inail).
  • 13 milioni gli italiani che, con differenti gradi di intensità e responsabilità, offrono la propria assistenza a un familiare malato o non autosufficiente (Istat).
  • Quasi un lavoratore su due (49%) dichiara di trovarsi in una situazione di grave disagio psicologico (Indagine Serenis in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali dell’Università di Padova).
  • Degli oltre 44.000 contratti di lavoro avviati per persone con disabilità nel 2019, solo 322 hanno coinvolto lavoratori con disabilità intellettiva o psichica (X Relazione al Parlamento dello Stato di Attuazione della Legge 68/99 del 2023).

 

 

Iniziamo sondando il perimetro aziendale e il ruolo che le imprese ricoprono (o non ricoprono) anche nella promozione del benessere psicofisico delle proprie persone, consapevoli o auspicando che “la mission aziendale non può esaurirsi nel solo profitto, ma è volta a creare una cultura aziendale che promuova la salute delle persone in modo proattivo. Molte realtà, anche tra le PMI, stanno comprendendo l’urgenza di questo cambio di rotta, anche se c’è ancora molto lavoro da fare per far sì che tutte comprendano appieno il valore strategico della salute mentale” sottolinea Anna Benini (LianeCare).

 

Anche Francesco Baglioni (Progetto Itaca) concorda “Non abbiamo mai incontrato aziende o organizzazioni che contrapponessero apertamente o ritenessero alternativi il tempo della vita e della cura di sé e la produttività. Al contrario negli ultimi anni le grandi e medie aziende hanno costruito team dedicati alla sostenibilità sociale, interna ed esterna, e alla inclusione sociale di ogni forma di diversità”. Secondo Riccardo Caserini (esperto di mindfulness) “Dobbiamo comprendere che vi è una correlazione diretta tra il prendersi cura di sé e il generare performance. La mindfulness aiuta a rilassarsi, a provare empatia, a migliorare l’intelligenza emotiva che incidono sulla resilienza, sulla collaborazione che a loro volta sono driver della performance”.

 

Una maggior consapevolezza sulla salute mentale, quindi, che si riflette anche nella crescita di realtà come Serenis, la piattaforma digitale per il benessere mentale e centro medico autorizzato. Ma con un distinguo. “Ci sono segnali positivi, come l’aumento di interesse e richiesta da parte delle aziende per programmi di benessere mentale per i propri dipendenti e allo stesso tempo l’incremento di persone che cercano attivamente supporto per affrontare questioni legate alla salute psicologica. Tuttavia, non possiamo dire che questa sensibilità sia ancora radicata in tutte le realtà: in molte aziende il tema del benessere mentale non riceve ancora l’attenzione necessaria. C’è un cambiamento culturale in atto, ma a oggi sono più i singoli che cercano supporto per se stessi rispetto alle aziende che attivano servizi strutturati per i propri dipendenti” aggiunge Daniele Francescon.

 

 

Un cambiamento in atto che si registra anche a livello di paradigma e di terminologia: se “storicamente il welfare aziendale ha avuto un focus più tecnico ed economico, il wellbeing è un’evoluzione del concetto di welfare che abbraccia anche la sfera emotiva, relazionale e psicologia – aggiunge Benini (LianeCare) – Se l’oggetto del welfare è il lavoratore o la lavoratrice, nel wellbeing al centro c’è la persona e le sue molteplici dimensioni e ruoli”.

 

Dividere gli ambiti della vita come fossero separati è un approccio culturale e scientifico superato” sottolinea Fabio Musumeci (ODM Consulting) “Le persone stanno bene o meno bene in una prospettiva più ampia, i problemi – così come gli elementi di positività – in ciascun ambito della vita vengono portati dalla persona in tutte le sue attività. Le aziende devono prendere consapevolezza della loro importanza nella salute delle persone e agire responsabilmente in questa direzione. E possono farlo contando sul fatto che queste azioni non sono contrarie alla performance. Anzi, oggi, nella complessità della vita e del lavoro, il benessere è la chiave per la performance individuale e di gruppo”. Aggiunge poi “Il futuro sarà di integrazione, dove le realtà già operanti nel welfare possono potenziare l’offerta di salute e benessere e dove le organizzazioni nate per il wellbeing e la salute possono entrare in contatto con le aziende creando un circolo positivo”.

 

Idea che sta alla base della partnership tra ODM Consulting (società di consulenza HR di Gi Group Holding) e Sygmund (piattaforma online di consulenza psicologica) volta a diffondere una cultura del benessere mentale e del supporto superando vecchi tabù e a rispondere a un bisogno reale crescente. “Nella nostra esperienza con Sygmund, registriamo un numero crescente di accessi in cui le persone parlano delle loro difficoltà relazionali sul posto di lavoro e non solo. Viviamo in un’epoca in cui prevale una confusione che genera difficoltà ad adattarsi e che fa emergere disturbi relazionali e comportamentali tipici proprio del momento attuale”.

 

 

Complici anche le nuove generazioni, che, sia come consumatori sia come candidati, sembrano avere maggior consapevolezza – non solo sul tema della sostenibilità ambientale – avanzando ai brand/organizzazioni anche richieste più nette. “Le nuove generazioni, in particolare quelle che hanno vissuto il periodo della pandemia, portano con sé una maggior sensibilità circa i temi della salute mentale, la diversità e il benessere. Questo sta sicuramente influenzando il mondo del lavoro, poiché i giovani richiedono ambienti più sani e attenti alle loro esigenze psicologiche. Tuttavia, ci sono ancora aziende che faticano a stare al passo con queste aspettative e il divario tra la consapevolezza dei giovani e le pratiche aziendali è evidente in molti contesti”. Come evidenzia anche Benini (LianeCare), la tutela del benessere diventa quindi anche una leva di attraction e retention in un mercato come quello italiano che deve affrontare sfide come il talent shortage.

 

E proprio la pandemia risulta essere stato uno spartiacque anche per le aziende, come sottolinea Musumeci (ODM Consulting) “La pandemia ha sdoganato il prendersi cura della salute mentale, rendendo evidente a tutti come il non sentirsi bene non fosse associato all’essere “matti” quanto a risposte fisiologiche, umane, normali a eventi stressanti e difficili”. Ciò, insieme all’incremento della richiesta di sostegno nel post-pandemia, “sta permettendo alle organizzazioni di iniziare percorsi virtuosi. La strada è ancora lunga ma sembrerebbe essere indirizzata verso un aumento delle azioni per il benessere e la salute”.

 

 

Non ci resta quindi che monitorare questa evoluzione e invitarvi ad approfondire insieme a noi il tema nella seconda puntata di questo dossier.

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