Integrato e legato al territorio: il modello Welfare Oristano District

Integrato e legato al territorio: il modello Welfare Oristano District

Quattro tipi di welfare, una rete di servizi e un modello che diventa opportunità, facendo del territorio il centro del progetto. Tra punti di forza, ostacoli da superare e nuovi riferimenti per la comunità.

 

 

Parola d’ordine: fare rete. È questo il nodo cruciale del Welfare Oristano District, progetto pilota che prova a lanciare un nuovo modello di welfare integrato, strettamente legato al territorio di riferimento. Proprio con i promotori dell’iniziativa – Fabio Streliotto, amministratore unico di Innova Srl e Miriam Carboni, Presidente del Consiglio Provinciale dei Consulenti del lavoro di Oristano – abbiamo provato a entrare nel dettaglio del welfare territoriale, indagando sugli aspetti concreti che ne definiscono la natura.

 

Cosa si intende esattamente, ad esempio, quando si parla di welfare territoriale? La scelta di alcuni territori di attivare delle politiche che integrano diverse tipologie di welfare: da quello pubblico a quello aziendale (spesso sconosciuto dalle imprese), da quello contrattuale (anche questo spesso sconosciuto ai lavoratori) a quello della comunità. Il risultato, dunque, dell’integrazione di quattro componenti, nell’ottica di una sinergia totale, con particolare attenzione al tema della territorialità: trattandosi di un progetto nuovo, urge cominciare a concretizzare le risorse di un territorio inizialmente circoscritto; con l’intenzione sì di diventare, come nel caso di Oristano, un modello anche per la regione, purché venga applicato su base provinciale, legandosi alla specificità del territorio.

 

Fare rete, si diceva, come soluzione per agevolare le Piccole e medie imprese, costituenti gran parte del tessuto imprenditoriale del nostro Paese , che troppo spesso lamentano le difficoltà economiche nel mettere in piedi un programma di welfare aziendale, oltre a una scarsa conoscenza degli aspetti più tecnici del welfare stesso. Una risposta a tutto ciò può essere rappresentato proprio dal welfare territoriale: “Il primo passo è far comprendere alle aziende che fare welfare non significa necessariamente pesare sul bilancio, ma migliorare la produttività. La chiave è presentare alle piccole imprese progetti su misura e non riproporre gli approcci dei colossi del mercato, impensabili per le piccole realtà”, spiega Carboni. Senza dimenticare il tema della fiducia suggerito da Streliotto: i riferimenti territoriali per le micro imprese come “antidoto” alle consulenze troppo onerose.

 

Un’opportunità di slancio per l’economia locale

 

Mettere in atto un progetto di welfare territoriale significa anche trovare il modo di sfruttare le ricchezze offerte dalla dimensione “locale”, rilanciandone l’economia: dalle organizzazioni no-profit alla grande varietà di servizi offerti dal territorio, facendo in modo che la spesa legata al welfare si canalizzi anche verso i tanti piccoli esercizi commerciali che, specie nelle realtà locali, sembrano destinati ad abbassare la saracinesca.

 

Un’opportunità che spesso si scontra con la scarsa consapevolezza da parte di imprenditori e amministratori pubblici. Afferma Streliotto: “Questo è uno degli obiettivi del progetto che è servito a coinvolgere e coalizzare le amministrazioni comunali, alle quali abbiamo spiegato la nostra intenzione di voler favorire la conoscenza dei servizi offerti dal territorio, facendo in modo che ad esempio i famosi fringe benefits vadano a confluire sui negozi di prossimità e non su buoni Amazon o buoni benzina. A tal proposito, una delle novità del progetto è quella di vincolare i provider, scegliendo di aprire più piattaforme (e non una sola) al fine di mettere al centro il territorio. Ai provider, infatti, abbiamo chiesto di condividere il valore sociale del progetto”.

 

In questo senso Innova, in Oristano Welfare District, è il partner che ha affiancato gli attori territoriali, fornendo una piattaforma, Ambrogio, che tiene insieme i diversi tipi di welfare, mettendo a disposizione dei cittadini, ma anche dei provider aziendali, una mappatura di tutti i servizi territoriali. Attraverso Ambrogio, dunque, è possibile prenotare servizi per i cittadini, mentre i lavoratori che beneficiano di un piano di welfare aziendale possono capire come e dove sfruttare, concretamente, i propri voucher generati dalle piattaforme di welfare aziendale.

 

Ostacoli e figure strategiche

 

L’attuazione di progetti legati al welfare territoriale può andare incontro all’insorgere di alcuni ostacoli. Streliotto ne individua almeno tre: “Il primo può venirsi a creare quando uno dei partner, compresa la potenzialità del progetto, si stacca dalla rete mettendosi in proprio. Un secondo problema può essere rappresentato dal rischio di concentrarsi sugli strumenti e non sull’obiettivo finale, e questo succede soprattutto quando vi è un’unica piattaforma. Terzo punto, serve investire nella formazione degli operatori dei Welfare point, animatori del progetto e supporto attivo per lavoratori e aziende”. Questi ultimi non sono semplicemente dei call center, ma sportelli fisici a cui potersi approcciare face to face.

 

Un ultimo spunto di riflessione: può la crescente consapevolezza del welfare territoriale e conseguentemente la necessità di reperire figure sempre più specializzate sul tema, presenti sul territorio, fornire un input per la formazione di una nuova figura professionale ad hoc, magari a partire da un inedito percorso universitario specializzato, intercettando così un nuovo segmento nel mercato del lavoro? “Assolutamente sì, purché via sia alla base la cultura del lavoro e la conoscenza della materia dal punto di vista giuridico-legale della figura del consulente”, questa l’idea di Miriam Carboni.

 

Fabio Streliotto illustra tre figure professionali strategiche: “Il welfare specialist, figura dedicata alla consulenza specifica alle imprese, a volte incarnata dal consulente del lavoro; il community manager, ovvero l’hub territoriale, quella figura che coordina il progetto e facilita le relazioni tra i diversi attori territoriali; il case manager, inteso come professionista che dia supporto ai lavoratori nell’analisi dei bisogni, nell’orientamento ai servizi e nell’utilizzo delle piattaforme informatiche”.

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