Fare cultura sull’adesione alla previdenza complementare
Anche il sistema previdenziale è stato fortemente colpito dagli effetti della crisi. Tuttowelfare.info propone alcuni approfondimenti sul tema, al fine di fare chiarezza su un ambito spesso (a torto) poco approfondito -> terza puntata
Affrontati gli effetti della pandemia sulle pensioni complementari nella precedente puntata, è utile soffermarsi su quale sia, al momento, l’adesione reale a forme di previdenza complementare. Il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha sottolineato come i tassi di adesione a schemi di previdenza complementare sono cresciuti in modo abbastanza significativo negli anni successivi alla riforma del settore (nel 2005), nonostante le crisi economiche che si sono susseguite e il peso rilevante del pilastro pubblico. Alla fine di settembre 2020, secondo le statistiche della Commissione di vigilanza sui fondi pensione (Covip), le forme pensionistiche complementari contano 9,289 milioni di posizioni in essere; la crescita rispetto alla fine del 2019, pari a 172mila unità (1,9%), continua a essere inferiore rispetto ai periodi precedenti all’emergere dalla crisi epidemiologica.
Tuttavia, tornando a Visco, spesso i versamenti sono insufficienti e discontinui, soprattutto per quei lavoratori che più ne beneficerebbero: giovani, precari, donne, chi è impiegato nelle piccole imprese. Per tutte queste persone, in assenza di significativi interventi, gli effetti della crisi pandemica potrebbero essere quindi particolarmente negativi. I sistemi a capitalizzazione scontano, infatti, l’effetto di un aumento della disoccupazione che ha come conseguenza la riduzione dei versamenti dei lavoratori ai fondi pensione. E proprio le stime Covip di fine settembre 2020 hanno certificato che il flusso dei contributi del secondo trimestre 2020 appare aver avuto un calo – seppure di ammontare limitato – per lo specifico effetto dell’emergenza pandemica.
Si ragiona allora sulla opportunità di rilanciare una nuova campagna informativa istituzionale abbinata a un nuovo periodo di silenzio-assenso per rilanciare la previdenza complementare. Un maggior livello di education previdenziale potrebbe essere particolarmente importante alla luce delle evidenze riportare nella recente Indagine annuale sul risparmio di Intesa Sanpaolo-Centro Einaudi-Doxa sulla percezione soggettiva dei temi previdenziali.
L’innalzamento dell’età pensionabile è l’aspetto meno condiviso del sistema pensionistico (il 71,7% è contrario), mentre è condiviso il fatto che la pensione debba essere legata ai contributi versati (70,5%). Per questo, la pensione media mensile attesa scende da 1.323 euro nel 2019 a 1.182 euro nel 2020 e apre la strada al bisogno di investire in strumenti finanziari integrativi della pensione. Tanto più che il saldo percentuale tra coloro che si aspettano di avere un reddito sufficiente e non sufficiente al momento di andare in pensione, che si era portato tra il 2018 e il 2019 dal 31,2 al 42,4% del campione, si è ridotto di nuovo nel 2020 (39,9%).
Solo il 12,7% del campione, però, ha sottoscritto qualche forma di piano previdenziale integrativo. Va ancora aggiunto come sono poi allo studio diverse ipotesi di restyling fiscale (aumento tetto deducibilità contributi, plafond ampliato per familiari a carico, esenzione dalla tassazione dei rendimenti) per favorire un maggior livello di inclusione previdenziale.
*Lorenzo Giuli è un esperto di previdenza complementare.
Quarta puntata: Gli effetti finanziari sui fondi pensione (coming soon)