Donne bloccate dal gender gap
In Italia la parità tra uomo e donna nel mondo del lavoro è ancora lontana. Le aziende che hanno iniziato a mettere in campo iniziative in questa direzione sono numerose. Ma non basta. Ci vuole un cambiamento culturale e un incremento degli investimenti in politiche sociali a favore della famiglia. Solo così si supererà il gender gap.
Le donne sono un motore economico fondamentale per la società di oggi. A confermarlo sono i dati resi noti dalla Banca d’Italia, in base ai quali se la presenza femminile sul mercato del lavoro italiano arrivasse al 60%, ci sarebbe un aumento del Pil fino al 7%. Numeri destinati a restare stime e a non tradursi mai in realtà fino a che l’ Italia sarà inchiodata al 70esimo posto del Global Gender Gap Index, posizione tra le peggiori tra i paesi dell’Europa occidentale. La parità tra uomo e donna nel mondo del lavoro resta infatti uno degli obiettivi da perseguire per la crescita civile del nostro Paese, ancora indietro in questo senso rispetto al confronto con altre nazioni. E’ vero, negli ultimi anni molte aziende si sono attrezzate per diminuire la disparità di genere introducendo nei loro piani welfare servizi che vanno in questa direzione. E i dati dimostrano che dove esiste un gender balance, il business e l’ambiente di lavoro in generale migliorano sensibilmente.
25.000 donne lasciano il lavoro dopo il primo figlio
Ma nonostante i risultati raggiunti dalle organizzazioni più evolute la strada che porta alle pari opportunità nel mercato del lavoro nazionale è ancora molto lunga. Basti dire che sono 25.000 all’anno le donne che lasciano il lavoro per la nascita di un figlio. E il 25% di quelle che hanno una occupazione rinuncia alla maternità per motivi professionali o economici. Senza dimenticare che lungo lo Stivale i manager in rosa rappresentano solo il 27% delle cariche nelle imprese. Non solo. Le donne che hanno un lavoro part-time sono 153 mila. Un piccolo esercito che nel corso del 2018 avrebbe ambito a cambiare la propria posizione rispetto al mercato del lavoro se fossero stati adeguati i servizi per l’infanzia e per la gestione di persone non autosufficienti. Servizi che in Italia restano non solo inadeguati ma anche molto costosi rispetto alla media delle retribuzioni percepite. A dirlo è l’indagine firmata dall’Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro “Donne al lavoro: o inattive o part-time”.
Buste paga più leggere
Gli esiti di questo trend si riflettono poi sulle buste paga. Infatti, nonostante l’assunzione di 2,8 milioni di donne nell’ultimo anno (rispetto a 3,2 milioni di uomini), il 35,7% ha ricevuto uno stipendio mensile inferiore a 780 euro. Nella classe di reddito da 1.500 a 2.000 euro gli uomini sono il doppio delle donne, mentre per i redditi ancora più alti il rapporto è di 1 donna ogni 3 uomini.
Insomma ben vengano gli asili aziendali, il part time o lo smart working, ma per cambiare davvero le cose ci vuole un mutamento culturale ma sono necessari anche più investimenti in politiche sociali a favore della famiglia.