A ciascuno il suo welfare aziendale
Sempre più diffusa, nelle aziende, è la pratica di personalizzare le soluzioni welfare, offrendo pacchetti di benefit “su misura” dei dipendenti. Up Day non fa eccezione e opera in favore dei dipendenti grazie all’ottimizzazione della piattaforma aziendale, all’anticipazione di spese per chi ne ha bisogno e all’introduzione di una nuova figura come il Social manager.
A ciascuno il suo, meglio se su misura. La nuova frontiera nel mondo del welfare è la “personalizzazione”. Non comprende più soltanto la possibilità per il dipendente di comporre il proprio pacchetto di beni e servizi, attingendo, nei limiti del budget, a una lista definita di offerta.
Ora è l’impresa stessa a disegnare la proposta che risponda alle esigenze del dipendente e a guidarlo nella scelta più adatta ai suoi bisogni. I pacchetti di benefit già tailor made diventano quindi one-to-one, disegnati sulla persona del lavoratore.
È la via seguita da Up Day, provider specializzato in buoni pasto, buoni shopping e piani di welfare aziendale. “Il primo fronte su cui stiamo lavorando è il supporto al lavoratore nella definizione del fabbisogno di welfare. Aiutiamo il dipendente a capire come ottimizzare e impiegare al meglio i benefit di cui dispone, tenendo conto del proprio stato privato, lavorativo e familiare”, spiega a Tuttowelfare.info Paolo Gardenghi, Responsabile dell’Area Welfare Aziendale di Day.
In alcuni casi si tratta, per esempio, di verificare se sia più conveniente per il lavoratore approfittare dei benefit disponibili sulla piattaforma aziendale o invece usufruire delle detrazioni corrispondenti in sede di dichiarazione dei redditi. L’intervento di una persona esperta può infatti aiutare il dipendente a orientarsi nella scelta più adeguata alla propria situazione personale e familiare.
In futuro questo compito potrebbe esser svolto dalla stessa piattaforma, grazie alle applicazioni dell’Intelligenza Artificiale: nel rispetto della privacy del singolo, la nuova tecnologia sarà in grado di profilare il dipendente e suggerirgli le soluzioni più adatte a lui.
Acquisti su misura e anticipazione delle spese
“Il punto di partenza è definire bene il fabbisogno di welfare e ottimizzare le misure già a disposizione. Poi si apre un secondo fronte molto più operativo, che prevede di entrare nello specifico delle richieste e cercare di accontentare i dipendenti anche negli aspetti più particolari”, continua Gardenghi.
Si va dalle lezioni di yoga al corso per sommelier: quando la richiesta è così puntuale e non ci sono convenzioni con le rispettive strutture, interviene il provider ad acquistare il singolo servizio al posto del lavoratore. Tra gli addetti ai lavori l’iniziativa è stata ribattezzata Te lo compra Day e può già contare su uno staff di 10 persone incaricate di esaudire le richieste più diverse, che arrivano soprattutto da dirigenti e top manager.
L’iniziativa di cui Gardenghi va più fiero è però un’altra, messa in campo per andare incontro alle esigenze dei comparti più deboli. In gergo la chiamano “voucherizzazione dei rimborsi”: consiste nell’anticipare, a favore del personale, spese che il lavoratore avrebbe dovuto sostenere di tasca propria, salvo poi caricare la ricevuta sulla piattaforma e ottenere il rimborso nella busta paga successiva.
In base al Testo Unico delle Imposte sul reddito, infatti, soltanto le voci ex articolo 51 possono essere oggetto di voucher o pacchetti acquistati dal datore di lavoro, mentre le spese che ricadono nell’articolo 100 dovrebbero essere rimborsate soltanto una volta sostenute dal lavoratore. “Ci sono situazioni in cui il dipendente ha un livello di reddito molto basso ed è in difficoltà ad anticipare grosse spese. Si tratta per lo più di lavoratori dei comparti più poveri, come quelli delle pulizie, della ristorazione collettiva o della vigilanza”.
“In questo caso facciamo in modo che sia l’azienda a pagare già a monte”, chiarisce Gardenghi. “Così ‘voucherizziamo’ il rimborso: riusciamo ad accontentare i tanti lavoratori che non riescono ad accedere alla parte rimborsuale prevista dal legislatore, perché non hanno più capacità di anticipare la spesa”.
Dal maggiordomo aziendale al social manager
Molto apprezzata da aziende e dipendenti è, infine, la figura del Social manager. L’assistente sociale dipende dal Welfare manager, figura ormai sempre più diffusa nelle imprese, ed è una persona di Day che lavora presso l’azienda aiutando i dipendenti a ottimizzare le possibilità esistenti. Non solo all’interno dell’organizzazione, ma anche sul territorio circostante.
“È una soluzione che permette all’impresa di liberare risorse: il Social manager raccoglie il fabbisogno del lavoratore e orienta la sua ricerca anche all’esterno, compilando moduli e formulando richieste”, precisa Gardenghi.
“È molto utile nei casi in cui l’azienda non abbia abbastanza soldi per distribuire welfare, ma possa spendere per pagare una persona che spieghi ai lavoratori dove trovare soluzioni rispondenti ai loro bisogni di welfare”.
A differenza del maggiordomo aziendale e delle varie forme di coaching aziendale già esistenti, il Social manager è un soggetto esterno all’impresa, capace perciò di vincere la naturale ritrosia e resistenza dei lavoratori. Tenuto alla riservatezza, opera in ambienti protetti, cercando di integrare il più possibile il welfare aziendale con il welfare territoriale.
“È un esperimento che sta già avendo successo”, rivela Gardenghi. “Invece che avere a che fare con una piattaforma, nella logica di umanizzazione del welfare è meglio trovarsi di fronte una persona che ascolta il lavoratore, capisce i suoi bisogni e lo orienta verso le soluzioni migliori”.