Return-to-office o smart working: la polarizzazione non lascia spazio alla riflessione
La questione return-to office o smart working è tornata sotto i riflettori vista la scelta di Amazon di richiamare in sede 5 giorni su 5 i propri dipendenti.
Scelta divisa che ha generato una polarizzazione delle reazioni – non sempre una riflessione -, e che l’AD Jassy giustifica affermando che la decisione “riguarda molto la nostra cultura e il rafforzamento della nostra cultura” (Reuters e CNBC), allontanando così le accuse che si tratti di un “licenziamento mascherato”.
Sul tema del return-to-office o smart working ha fatto recentemente il punto anche l’Osservatorio del Politecnico di Milano. “Lo Smart Working è il paradigma che ha cambiato di più il lavoro in Italia dal punto di vista organizzativo, normativo, tecnologico” ha sottolineato Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio del Politecnico. E in Italia “sta continuando a diffondersi nelle grandi aziende, rimane stabile nelle PA e ha subito una minima contrazione nelle PMI” e se si guarda al 2025 “si prevede una crescita del 5%, che porterebbe a toccare quota 3,75 milioni di smart worker”.
E gli italiani hanno le idee chiare. Se l’azienda facesse dei passi indietro, il 27% penserebbe seriamente di cambiare lavoro e il 46% si impegnerebbe per far cambiare idea al datore di lavoro. Cosa può fare allora l’azienda che decide per il return-to-office e non per lo smart working? Dovrebbe offrire più flessibilità oraria o aumentare lo stipendio di almeno il 20%. Tra chi è tornato al 100% in presenza, solo il 19% lo ha fatto per scelta perché non ha più bisogno della flessibilità o perché vuole socializzare con i colleghi, il 23% ha cambiato mansione e la nuova non è più compatibile con una logica agile, mentre per il 58% è stata una decisione presa dall’azienda.
Corso ha sottolineato che, sebbene lo smart working sia ormai diffuso e apprezzato in Italia, non è ancora completamente consolidato. La causa è legata al contesto attuale, in cui le aziende si trovano a dover scegliere in un quadro di complessità. Da un lato, devono affrontare questioni ancora irrisolte, come l’inadeguatezza di certi spazi e modelli organizzativi incoerenti quindi con lo smart working; dall’altro, persistono alcune “patologie organizzative”, come l’iperconnessione, l’eccesso di lavoro e un utilizzo non bilanciato del lavoro agile. Forse su questi aspetti varrebbe oggi la pena concentrarsi per riuscire a comprenderli e a gestirli, ricordandoci che meno di un quarto degli impiegati ritiene di avere un capo smart.
Una riflessione che tocca alle aziende, consapevoli che a pesare sulla linea da adottare – return-to-office o smart working – incombono anche le sfide della talent attraction e della retention – da qui l’accusa di alcuni ad Amazon. Come evidenzia il “Report Smartworking 2024”, la ricerca realizzata da Great Place to Work Italia, all’aumentare dei giorni di lavoro trascorsi in smart working migliora anche l’esperienza lavorativa vissuta dalle persone di un’organizzazione. Con una singolare eccezione, negativa, per le organizzazioni che hanno optato per un modello di quasi full remote, che prevede la possibilità di lavorare per 4 giorni alla settimana lontano dall’ufficio. “Cambiano le logiche organizzative, le capacità manageriali, gli strumenti, le tecniche di coinvolgimento e di comunicazione. La scelta va presa quasi a livello del modello di business che si vuole mettere a terra poi organizzativamente – spiega Alessandro Zollo, CEO di Great Place to Work Italia – Il modello ibrido rimane comunque vincente, soprattutto oggi che si sentono eco di restaurazione abbastanza tipici dell’incapacità di adattamento ad un mondo che cambia, e lo fa molto velocemente”.
La direzione che viene intrapresa ha poi un impatto su molteplici aspetti.
Mobilità e flessibilità sono temi destinati a modificare significativamente il concetto degli ambienti di lavoro – come riporta in una nota Edenred Italia, leader nel settore degli employee benefit – che sulla spinta della transizione ecologica diventeranno “blurring places”. Non più spazi dalla funzione predefinita, ma ibridi, adattabili alle azioni che le persone devono svolgervi, secondo una tendenza già riscontrabile nel mercato immobiliare europeo, dove il 58% dei cantieri è dedicato alla costruzione di edifici in cui gli inquilini possano ugualmente vivere e lavorare.
Non solo residenziale, ma anche uffici. Come registra DEGW, la business unit di Lombardini22 specializzata nella consulenza e realizzazione di progetti di workplace transformation, negli ultimi anni il mondo del lavoro ha subito un’importante evoluzione, passando da un processo top down a un mercato “candidate driven”. Le aziende che colgono l’opportunità di questo cambiamento stanno adeguando i propri spazi a un new way of working: più collaborazione, inclusività, sostenibilità e innovazione tecnologica. È il caso del Campus di Baker Hughes a Firenze, dove sono stati recentemente inaugurati i nuovi spazi ripensati grazie al progetto di DEGW che ha integrato office design, progettazione del verde, arte, acustica e universal design. “I nostri progetti nascono dall’analisi delle esigenze organizzative, con l’obiettivo di mettere le persone al centro del processo. Oggi l’ufficio riveste infatti un ruolo fondamentale, non solo per le aziende, ma anche per gli individui, in quanto luogo di aggregazione e catalizzatore di talenti. Per ridefinire e trasformare gli spazi in modo efficiente, funzionale e sostenibile occorre integrare persone (emozioni), comfort (benessere) e tecnologia (energia)” ha spiegato l’Architetto Alessandro Adamo, partner di Lombardini22 e direttore di DEGW.
Dalla “querelle” return-to-office o smart working nascono diverse questioni che toccano gli ambiti più disparati della nostra vita, del mercato e della società. Ma che dovrebbero portarci a riflettere anche su temi quali l’inclusività, laddove questa querelle nel mercato del lavoro interessa una piccola porzione della popolazione impiegata, quella che non ha l’obbligo di presenza “fisica” per svolgere le proprie attività lavorative.
Riprendendo le parole del Prof. Corso, lo smart working è il paradigma che sta influenzando il futuro in diversi ambiti. Sempre che non prendano il sopravvento altre forme di flessibilità (come la settimana corta) – o si vada in tutt’altra direzione con un generalizzato “throwback to” e tutti di nuovo al proprio posto. Che personalmente non ci auguro.