Piattaforme di welfare tra trasformazione digitale e cambiamento organizzativo
Lo sviluppo degli strumenti digitali per l’uso dei servizi di benessere ha favorito la nascita dello sharing welfare, basato su tre elementi distintivi: co-produzione, personalizzazione, e infrastruttura web-based.
La diffusione delle tecnologie digitali ha favorito l’emergere di un nuovo oggetto sociale: la piattaforma. Si tratta, al tempo stesso, di un paradigma economico (Platform economy), di una tecnologia, di un settore dell’economia digitale, di un modello organizzativo che spesso viene usato anche come metafora per interpretare le trasformazioni sociali.
Così come McDonald’s ha rappresentato simbolicamente la globalizzazione, Uber è diventata l’azienda-simbolo della ‘piattaformizzazione’. E questo non solo perché è l’azienda-piattaforma più nota e discussa, ma perché – come era successo per McDonald’s– le logiche di funzionamento di questa azienda vengono adottate nei settori più disparati.
Se si considera la piattaforma come modello organizzativo, è utile delineare le sue caratteristiche principali. Una piattaforma, nella definizione di Snircek, è un’infrastruttura digitale che abilita l’interazione tra due o più gruppi di attori. Anche da questa definizione generale, emergono i tratti principali del relativo modello organizzativo.
Le piattaforme sono mercati multi-sided, a più versanti, o almeno two-sided, perché nello stesso spazio interagiscono gli attori della domanda e dell’offerta. Inoltre le piattaforme non producono beni e non erogano servizi, ma abilitano altri attori, creando le condizioni affinché avvenga lo scambio: organizzano le informazioni necessarie, costruiscono un ambiente che consenta l’incontro tra domanda e offerta, creano le necessarie pre-condizioni fiduciarie.
Le piattaforme sono istituzioni perché dettano le norme che consentono l’interazione tra gli attori; infine le piattaforme si basano su effetti di rete e hanno tanto più valore quante più persone la utilizzano, con evidenti conseguenze in termini di creazione di monopoli e oligopoli.
Andare oltre la dicotomia pubblico-privato
Il welfare di piattaforma è solo una delle possibili forme organizzative dei processi di digitalizzazione del welfare, che è oggi attraversato da spinte innovative legate, per esempio, alla diffusione dell’Internet of Things, dell’Intelligenza Artificiale, ecc.
L’innovazione socio-tecnologica introdotta da queste progettualità si pone in modo ambivalente rispetto a tendenze evolutive che investono l’assetto complessivo del welfare locale: l’offerta di servizi, il coinvolgimento dei beneficiari, l’ingaggio di nuovi attori non appartenenti a questo ambito, i modelli organizzativi e di business, gli assetti di governance territoriale.
Le piattaforme che stanno gemmando nell’ambito del welfare propongono sentieri alternativi, oltre la dicotomia pubblico-privato, come radicamento al valore ‘fondamentale’ dei servizi intesi come infrastruttura quotidiana, ma anche come ponte di una riconnessione (e ibridazione) tra le forme esistenti di scambio e creazione del valore.
Nell’accezione di welfare community si metteva già in evidenza la rilevanza di un nuovo modello di welfare mix in cui il primato dell’intervento statale si riconfigura in un processo di coordinamento, attivazione e intervento all’interno di una rete plurale di attori che agisce nella promozione del benessere secondo una logica di sussidiarietà e attraverso la compresenza di logiche di mercato e di reciprocità comunitaria.
Nell’accezione della Platform community, invece, ci si riferisce a un’aggregazione di individui che, interagendo attraverso la mediazione di un’infrastruttura digitale, può essere attivata per condividere e scambiare risorse cognitive o materiali fino a sviluppare un senso di appartenenza e responsabilità collettiva.
La novità dello sharing welfare
Dall’ibridazione tra logiche della welfare community e della Platform community è stato coniato il termine di sharing welfare, basato su tre elementi distintivi: co-produzione, personalizzazione, e infrastruttura web-based. Come osservato da Giovanni Fosti, un welfare di piattaforma basato sul paradigma della cosiddetta sharing economy mostra degli elementi di assoluta novità rispetto al modello del welfare tradizionale, che in qualche modo si avvicinano al paradigma del welfare community.
La distinzione proposta da Fosti si basa su logiche di servizio tradizionali, rintracciabili nella concezione del welfare state, e su quelle innovative di sharing welfare. In questa elaborazione si prendono in considerazione le seguenti dimensioni: ruolo dell’erogatore, perimetro di azione, service design, target, forme di controllo, ruolo della tecnologia, criteri di selezione dell’utente, condizioni sostenibilità e legittimità a operare.
A questa proposta classificatoria abbiamo aggiunto un parametro di paragone, che è il paradigma del welfare community, come modello mediano, tra quello del welfare state e il modello di sharing. Infine, abbiamo aggiunto dei parametri rilevanti: modalità di organizzazione dell’azione, ovvero in base a quale principio si organizza e si definiscono i compiti dei soggetti; modalità di erogazione del servizio; forma di regolazione dello scambio, ovvero il modello prevalente di integrazione che ogni paradigma si è dato; quali sono gli spazi di interazione tra gli attori coinvolti.
Dall’approfondimento delle dimensioni esaminate emerge come i due concetti di comunità che sottostanno ai diversi modelli hanno non solo punti di contatto, ma anche di differenziazione.
* Articolo liberamente tratto dall’intervento di Davide Arcidiacono (Università degli Studi di Catania); Ivana Pais (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano); Flaviano Zandonai (Gruppo Cooperativo CGM) al quarto convegno della Società italiana di sociologia economica.