Perché lo Smart working non è la panacea di tutti i mali aziendali
L’emergenza Coronavirus ha determinato un boom del ricorso al lavoro agile. Non tutte le aziende, però, sono attrezzate per affrontarlo. E anche i lavoratori devono far fronte a difficoltà organizzative tutte “domestiche”.
Si fa presto a dire Smart working. In questi giorni di quarantene forzate, attività sospese e uffici chiusi a causa dell’emergenza Coronavirus, sembra che il lavoro agile sia diventato la soluzione a tutto. Garantire operatività e continuità della prestazione attraverso lo schermo di un computer non è, però, così semplice. A maggior ragione se, per esigenze esterne, la distanza diventa forzosa, generalizzata e a tempo pieno. Lo sanno bene le aziende e i dipendenti alle prese in questi giorni con una nuova modalità di organizzazione del lavoro.
“Sono a casa a fare Smart working con due bimbe che devono fare Smart school via tablet con le loro classi…tutto bellissimo, ma la logistica domestica non è semplice! Meno male che almeno la mamma è al lavoro”. È lo sfogo affidato ai social da Alvise Biffi, Amministratore Delegato di Secure Network. La società, specializzata in consulenza in ambito cyber security, ha sede nel centro di Milano. Per tutelare la salute del personale, abituato a raggiungere l’ufficio con i mezzi pubblici, ha deciso di adottare in via precauzionale lo Smart working per tutti i venti dipendenti dell’azienda e per quelli della controllata Banksealer. “Eravamo già preparati a questa modalità di lavoro dal punto di vista tecnologico”, racconta a Tuttowelfare.info. “Tutte le nostre persone sono dotate di laptop e disponiamo di un’infrastruttura in cloud. Lo Smart working era già una possibilità di cui poter godere uno o due giorni alla settimana, a discrezione del dipendente. Adesso, però, la situazione è diversa”.
La difficile organizzazione domestica
L’altra faccia della medaglia si chiama organizzazione domestica. Non basta, infatti, avere un device aziendale efficiente e un’ottima connessione di rete: conta anche la logistica. “In questo periodo in cui anche le scuole sono chiuse non è facile organizzarsi. Gestire lo Smart working in un ambito non consono è complicato”, ammette. “In casa non ci sono spazi separati, scrivanie adatte in cui potersi posizionare e, se ci sono contemporaneamente più persone che fanno Smart working o Smart school, diventa più complesso”. Il problema non investe solo chi ha figli: nei piccoli appartamenti di Milano, ad esempio, sono tanti i giovani che devono condividere gli spazi con uno o più coinquilini. “A livello di produttività, se c’è una buona organizzazione domestica, in un ambiente tranquillo, comodo e spazioso, lo Smart working funziona benissimo. Altrimenti, si ripresentano alcune problematiche tipiche dell’ufficio”.
I vantaggi per Biffi sono comunque tanti: più tempo per stare in famiglia, spostamenti azzerati, meno traffico e smog. “Quello che viene meno, però, è l’ambito della socialità, soprattutto in tempo di Coronavirus: confinati tra le mura domestiche, l’interazione sociale avviene solo tramite conference call e chat. Con la giusta organizzazione lo Smart working è un gran vantaggio, ma non bisogna trascurare gli aspetti logistici e domestici per gestirlo, altrimenti la produttività crolla. Restare a casa uno o due giorni a settimana è un piacere, di più diventa un fastidio”.
Gli accorgimenti per affrontare la distanza
L’Italia è agli ultimi posti in Europa per diffusione del lavoro agile, con appena il 4,8% delle persone che lavorano da casa. Dopo di noi, solo Romania, Bulgaria e Macedonia. Eppure, di fronte all’emergenza sanitaria, l’imprenditoria italiana si è riscoperta tutto a un tratto smart. “La resistenza e l’incapacità di cavalcare buone pratiche e nuove soluzioni oggi sono messe in discussione dal virus. Anche le aziende che non avevano introdotto in maniera intensiva lo Smart working lo stanno facendo adesso, trasformando lo choc iniziale in un’opportunità di trasformazione”, sottolinea Alessio Vaccarezza, CEO di Methodos Italia.
La società di consulenza, specializzata nell’accompagnare le imprese nei processi di change management, ha stilato una serie di consigli utili per prevenire possibili intoppi e preparare dipendenti e manager a lavorare in modo nuovo. Il vademecum è rivolto sia ai lavoratori, che spesso si trovano a fare i conti con una realtà sconosciuta, sia ai capi, che devono sperimentare nuovi metodi per organizzare, dirigere e valutare i propri dipendenti.
Tecnologie da testare e comunicazione continua
La precondizione è tutta tecnologica: occorre dotare le persone di strumenti idonei al lavoro da remoto. I device in uso agli smart workers devono consentire il collegamento con i colleghi, ma anche l’accessibilità ai database interni e alle informazioni necessarie. “È una precondizione importante per mettere tutti ai blocchi di partenza”, spiega Giuseppe Geneletti, Head Smart Working di Methodos. “Poi, bisogna presidiare bene la comunicazione: occorre che le persone vengano informate tempestivamente su priorità e obiettivi e rassicurate che il lavoro sta andando avanti. Non devono essere lasciate sole”.
Manager e responsabili devono dar vita a un interscambio frequente, chiarendo bene tempistiche e decisioni e garantendo un feedback costante. Molto utile si rivela in circostante simili mettere a disposizione presidi informativi ulteriori rispetto a quelli tradizionali. “Le funzioni più stressate sono l’Information Technology e le Risorse Umane, chiamate a presidiare che tutto quanto venga riallineato e le persone agiscano con tranquillità”. In questi giorni la stessa Methodos Italia ha chiesto alle sue persone di organizzarsi per lavorare da remoto, scegliendo di rimborsare le corse in taxi a coloro che intendano recarsi comunque dai clienti o in sede ed evitare così il ricorso ai mezzi pubblici. “L’importante è adattare rapidamente le procedure”.
Adottare la forma mentis dell’ufficio
Per il lavoratore la vera sfida è riprodurre a casa la forma mentis che si assume in ufficio: stabilire degli orari chiari, organizzare gli spazi, capire quando è ora di disconnettersi. Gli esperti raccomandano di organizzare la propria giornata in modo che gli obiettivi da raggiungere, i momenti di comunicazione e l’accessibilità fornita ai collaboratori siano ben chiari. Soprattutto se non si è soli in casa, è importante comunicare a familiari e coinquilini quando si è al lavoro. “Le ricerche ci dicono che il nostro livello di concentrazione può durare al massimo un’oretta, per questo bisogna prevedere pause di dieci minuti”, continua Geneletti. “Uno dei rischi di lavorare a casa è che le persone siano così concentrate e intente in quello che stanno facendo da non fermarsi. Capita soprattutto a noi italiani: temere di essere percepiti in vacanza ci fa lavorare troppo senza scollegarci mai”.
L’improvviso boom di Smart working potrebbe, insomma, servire da laboratorio per sperimentare nuove forme di accessibilità e di comunicazione da remoto. Occhio, però, a non adottare soltanto soluzioni tampone: finite le limitazioni dello stato emergenziale, il rischio è che si torni alla situazione pre-Coronavirus. “Nella specifica situazione in cui ci troviamo oggi siamo di fronte a una forte commistione tra personale e professionale”, puntualizza il CEO di Methodos Italia.
“Come manager e come società, stiamo rispondendo a una crisi e la stiamo affrontando in maniera tattica: c’è bisogno di avere linee guida, tanto quanto di suggerimenti pratici immediati. Già oggi, però, occorre mettere a terra un piano per far sì che lo Smart working non sia solo un’opportunità in tempo di crisi, ma un nuovo modo di lavorare”, spiega Vaccarezza. “La vita in ufficio è fatta anche di workshop ed eventi. Trovare il modo di organizzarli, anche a distanza, significa dimostrare di essere capi resilienti, capaci di far fronte a ogni situazione”.