Il welfare ha bisogno di una rivoluzione

Il welfare ha bisogno di una rivoluzione

A dirlo al World Economic Forum di Davos è stata Hilary Cottam, social entrepreneur e scrittrice.
L’economia 4.0 ha introdotto nuovi modelli organizzativi aziendali che sono destinati a cambiare anche quelli sociali e di welfare. Per soddisfare i bisogni dei lavoratori gli strumenti di oggi non vanno più bene.

 

 

La Quarta Rivoluzione Industriale richiede una social revolution. A sostenerlo  al World Economic Forum 2019 di Davos è stata  Hilary Cottam, social entrepreneur e autrice del libro Radical help, in cui sostiene che il sistema di welfare oggi esistente nella maggior parte dei paesi occidentali, ed economicamente evoluti, deve essere completamente ridisegnato. Obiettivo: dare ai lavoratori e cittadini quello di cui hanno davvero bisogno. Durante il suo intervento a Davos  Cottam ha fatto l’esempio dei centri per l’impiego, quelli che, sulla carta, costituiscono  il perno attorno al quale ruota il Reddito di cittadinanza per ricollocare le persone sul mercato del lavoro.
Strumenti che l’esperta inglese definisce obsoleti, così come lo sono le forme di organizzazione sociale nate con la Rivoluzione industriale: dalle Nazioni Unite ai sindacati, dal settore del volontariato agli stati sociali. Il motivo? Non sono più al passo con le sfide e le aspettative moderne.

 

I centri per l’impiego sono strumenti superati

 

In particolare gli attuali jobs centre o centri per l’impiego, che siano a Roma o in altre città europee, non funzionano.  Per Cottam costano molto e, per quanto riguarda la Gran Bretagna, falliscono nel 66% dei casi. «In Uk hanno anche provato a riformarli, gli hanno cambiato nome e le prestazioni sono state ricalibrate, ma gli elementi essenziali rimangono gli stessi: distribuiscono denaro e consulenza», ha detto la scrittrice, con il risultato che due terzi dei disoccupati che si sottopongono alla procedura di richiesta obbligatoria di lavoro per ricevere assistenza sociale, non vengono assunti.
Un iter che fino a ora, è stato bissato anche in Italia, dove queste istituzioni sono  presenti dal 1997, a introdurle è stato il d. lgs. 23 dicembre 1997, n. 469, attuativa della legge 59/1997.
Oggi, infatti, lungo la penisola, la metà dei 550 centri per l’impiego ha dotazioni informatiche insufficienti (il 72% nel Sud e nelle Isole); molti dei 7.934 dipendenti (contro i 98.739 addetti della Germania, i 74.080 del Regno Unito, i 54 mila della Francia e gli 8.945 della Spagna), per effetto del blocco del turn over hanno un’età avanzata, una scarsa dimestichezza con il digitale, sono abituati a svolgere compiti puramente burocratici e, non hanno avuto la formazione necessaria per rispondere alle nuove sfide delle politiche attive.
La spesa annua per mantenerli in vita,  tra strutture e personale,  secondo dati Eurostat, ruota intorno ai 700 milioni di euro, contro 11,6 miliardi in Germania e 5,4 miliardi in Francia. Le persone che sono riuscite a ricollocare finora sul mercato? Sempre secondo Eurostat il 3%, contro il 20% di Francia e Germania. Il tesoretto messo sul piatto dal ministro del Lavoro e Vicepremier  Luigi Di Maio per riformarli è di 1,5 miliardi di euro. Riuscirà nell’impresa? Stando a quanto detto dalla Cottam a Davos e sull’esempio di quanto già accaduto a strutture simili all’estero, l’operazione sarà ardua proprio perché è cambiato il contesto sociale. E il nuovo quadro economico richiede strumenti sociali differenti.

 

La quarta rivoluzione industriale richiede strumenti diversi

 

La Quarta rivoluzione industriale necessita di nuove competenze e di modi diversi di trovare un’occupazione. Oggi, la maggior parte dei posti di lavoro disponibili non sono pubblicizzati. Per trovarli sono necessarie connessioni sociali, quel network personale di cui tanto parlano le società di selezione. E questo vale anche per i servizi che riguardano la salute delle persone. Insomma per l’esperta è la connessione tra i cittadini  su un determinato territorio che fa la differenza e li aiuta a trovare lavoro, mantenersi in salute e  prendersi cura gli uni degli altri.
«Lavoro con le persone anziane creando servizi di comunità che portano gioia e cure a prezzi accessibili. Ho affinato questo modo di lavorare nei barrios dell’America Latina e nei composti dell’Africa meridionale e la vita delle persone cambia», ha raccontato la scrittrice. «Un sistema che funziona anche con persone senza lavoro e con famiglie disastrate alle spalle. In Uk ha contato 73 diversi tipi di assistenza che non riuscivano però a incidere sulla vita delle persone. Anche perché se l’assistente sociale  dedica l’86% del suo tempo a problemi burocratici quello che rimane non cambia la vita delle persone che segue». L’avvento del 4.0 coinvolge anche il welfare, di questo dobbiamo rendercene conto e quello che serve è una rivoluzione radicale.

 

 

 

 

 

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