Il welfare deve maturare
Nell’ultimo anno il welfare aziendale ha registrato una deriva consumistica. Ma è ora di tornare alle origini ampliando l’offerta con servizi capaci di enfatizzare la sua dimensione sociale. Solo così diventerà uno strumento davvero strategico per vincere la guerra dei talenti.
Avere in organico risorse capaci di guidare il cambiamento e contemporaneamente in grado di comprendere la cultura aziendale sarà sempre più importante per sopravvivere e affrontare le sfide di un mercato globalizzato e in continua evoluzione. Per questo, gestire in modo e efficace i processi di talent Acquisition e di retention del personale sta diventando strategico per le organizzazioni. E per farlo si stanno facendo strada nuovi strumenti, tra questi anche il welfare aziendale, che sta lentamente cambiando rotta. «In una prima fase di sviluppo, infatti, le imprese ricorrevano al welfare aziendale principalmente per sostenere economicamente i dipendenti risparmiando sugli oneri fiscali. Non c’era preoccupazione in termini di employer branding», spiega Emmanuele Massagli, Presidente di Aiwa, l’Associazione italiana delle imprese di welfare aziendale. «Ultimamente invece sono sempre più numerose le realtà industriali che lo utilizzano come leva per attrarre e trattenere talenti».
Una carta in più per vincere la guerra dei talenti
Questo succede soprattutto nelle realtà che operano nel settore dell’informatica, o in segmenti tecnici come può essere quello dell’ingegneria, dove il gap tra i bisogni dettati dal cambiamento digitale e le risorse sul mercato capaci di gestirlo si fa prepotentemente sentire. «Per queste realtà i talenti sono un patrimonio da preservare e valorizzare», precisa Paolo Gardenghi, Responsabile area welfare di Day, una delle principali società italiane del settore, specializzata nell’offerta di servizi per il benessere dei lavoratori. «E il welfare aziendale è diventato una leva che assolve a questo scopo. Ma per raggiungere l’ambizioso obiettivo, deve essere molto profilato». Questo significa che si devono conoscere bene i bisogni dei lavoratori. «E possibilmente in anticipo, sulla base del target di persone che si stanno per assumere o che si hanno già in organico», sottolinea Massagli .
La personalizzazione di un piano di welfare è importante per soddisfare le esigenze dei lavoratori che cambiano in base all’età, alle diverse fasi della loro vita e alla cultura. «Spesso i talenti nei settori più competitivi sono giovani e chiedono proposte legate al fitness, alla formazione, ai viaggi», dice Gradenghi. «Mentre i senior sono più concentrati sulle spese per gli studi dei figli o per la badante per i genitori anziani, piuttosto che polizze previdenziali. Esigenze a cui i diversi provider di welfare con le loro piattaforme, come la nostra Day Welfare, riescono a rispondere in modo flessibile e puntuale a questo tipo di esigenze».
Ritorno alle origini
Accanto al cambiamento della finalità del welfare, negli ultimi tempi c’è stato anche un mutamento di tendenza nei servizi offerti. «Nell’ultimo anno si è registrata, infatti, una deriva consumistica del welfare aziendale», osserva Gardenghi. «Da qui la necessità di tornare alla funzione primaria dello strumento, ovvero alla sua funzione sociale. La ratio della legge che ha sdoganato il welfare aziendale in Italia era legata alla sanità e alla previdenza integrativa, ma nel tempo i piani sono stati parzialmente dirottati su elementi che, seppur interessanti e utili, non assolvono alla sua funzione primaria. Quest’ultima, per esempio, per un target di lavoratori giovani con figli, potrebbe essere quella rimborsuale, che riguarda anche il recupero di spese legate alla scuola e alla cultura dei minori».
Più misure di vero sostegno al reddito e di mutuo soccorso
In questa direzione vanno anche le nuove proposte lanciate da Aiwa sulla base di un confronto fatto con i primi 15 operatori del mercato, che meglio di chiunque altro hanno il polso di quello che chiedono dipendenti, sindacati e aziende. «Alle aziende associate abbiamo proposto un ampiamento dei servizi orientati a enfatizzare la dimensione sociale del welfare aziendale», spiega Massagli. «Quindi misure che non hanno finalità legate al consumo, ma vanno incontro a forme di cura o di sostituzione e pagamento di necessità che hanno utilità sociale». Qualche esempio? «Dare possibilità ai dipendenti di cedere credito welfare a colleghi che ne hanno bisogno per affrontare particolari situazioni familiari o personali, cosa che oggi non è possibile fare», illustra Massagli. «Oppure destinare il proprio credito welfare a realtà del terzo settore. Piuttosto che rimborsare ai dipendenti le spese di affitto sostenute per le case dei figli che studiano fuori sede o per le spese connesse alla cura di animali domestici», dice Massagli. «Ma stiamo lavorando anche alla possibilità di inserire nel welfare aziendale una polizza caso morte che a oggi non esiste. Tutte misure che sarebbero di aiuto e di sostegno al reddito di molti lavoratori».