Il welfare aziendale si adatta al lavoro da remoto
Quarto Rapporto Censis-Eudaimon: il domani fa paura ai lavoratori italiani, ma il welfare aziendale può aiutare. Se fosse esteso a tutto il settore privato varrebbe 53 miliardi di euro.
Sono più di 9 milioni i lavoratori del settore privato preoccupati per il futuro della propria occupazione. C’è chi teme una riduzione del reddito, chi un aumento delle ore di lavoro e chi prevede di non averlo più in breve tempo. Del resto, nonostante il blocco dei licenziamenti stabilito per decreto, nel 2020 non sono stati rinnovati 393mila contratti a termine. È la fotografia scattata dal quarto Rapporto Censis-Eudaimon dal titolo Imprese, lavoratori e welfare aziendale nella grande trasformazione post Covid-19 sul welfare aziendale, realizzato con il contributo di Credem, Edison e Michelin.
Ma questa ricerca, condotta su circa 200 aziende nel 2020, presenta una dicotomia evidente tra vertici aziendali e lavoratori sulla percezione del futuro quando avverrà lo sblocco dei licenziamenti, come ha spiegato Francesco Maietta, Responsabile Area Politiche sociali del Censis: “Gli operai spaventati sono tre su quattro, mentre l’87% delle aziende guarda con ottimismo la ripresa dopo l’emergenza, con speranza e voglia di fare: il paradigma delle differenze sta nel lavoro da remoto”.
Il 31,6% degli intervistati ha sperimentato lo Smart working: poco più della metà sono dirigenti, il 34% impiegati e il 12% operai. Anche su questa modalità sono stati espressi giudizi contrastanti: per quattro lavoratori su 10 genera nuove disuguaglianze e divisioni in azienda, mentre il 52,4% dei Remote worker lo apprezza e vorrebbe che restasse anche in futuro.
Per il 37% di chi lavora a distanza il proprio lavoro è rimasto lo stesso di prima, per il 35,5% è peggiorato, per il 27,5% è migliorato. Chi lavora in presenza, invece, lo teme. “È cresciuta in misura ampia l’articolazione delle condizioni del lavoro, e in questo scenario ci sono quattro aspetti su cui il welfare aziendale può dare un contributo”, ha affermato Maietta.
Chi ha già un piano di welfare lo vuole potenziare
Il primo è la creazione di valore economico: secondo il Rapporto, se fosse esteso a tutte le imprese del settore privato, il valore del welfare aziendale potrebbe arrivare a 53 miliardi di euro. Il beneficio per le aziende sarebbe pari a 34 miliardi, tra vantaggi fiscali e possibili incrementi di produttività. Per il singolo lavoratore equivale a quasi una mensilità in più all’anno, per un totale di 19 miliardi di euro.
Il secondo aspetto è l’aumento della coesione interna di organici sempre più diversificati nelle modalità di lavoro (confermato dal 52% dei rappresentanti HR intervistati), seguito dalla disponibilità di servizi di welfare utili e strumenti di formazione per trasferire nuove competenze ai lavoratori. “Un ultimo vantaggio riguarda la social reputation, sempre più importante nel 2021”, commenta Maietta. Il 77,4% dei lavoratori che ha un piano di welfare aziendale, infatti, vuole che venga potenziato o introdotto se ancora non è stato attivato. Questo dato sale all’83,1% tra i dirigenti, all’82,1% tra gli impiegati e scende al 61% tra gli operai.
Senza cultura non c’è futuro per il welfare
I dati differenti in base alla mansione aziendale svolta si ricollegano anche alla scarsa informazione che talvolta c’è nelle Regioni o nelle imprese stesse riguardo il welfare aziendale. A spiegarlo è stata Debora Serracchiani, Presidente XI Commissione Lavoro Pubblico e Privato Camera dei Deputati: “Il welfare passa sempre dalla contrattazione collettiva, ma la situazione è molto diversificata nel territorio nazionale: è importante investire nell’informazione per far capire ai lavoratori quali strumenti di welfare hanno. Ora ci sono anche le risorse”.
D’accordo Luigi Sbarra, Segretario Generale Cisl, per cui vanno aumentate le competenze della bilateralità, e spetta anche alle parti sociali portare avanti una campagna di informazione e comunicazione per far conoscere il welfare aziendale a tutti i lavoratori. “Serve anche una mappatura dei bisogni di chi lavora e una verifica costante dei risultati, senza aderire a pacchetti di welfare tutti uguali: il vero accordo dipende dalle varie realtà lavorative, è personalizzato”, è la tesi del sindacalista.
Per Alberto Perfumo, Amministratore Delegato Eudaimon, oggi occorrono tre requisiti perché il welfare aziendale sia decisivo: deve essere aderente alle esigenze reali delle persone; deve saper ascoltare ‘in stile coaching’ (dato che le necessità sono diverse e personali); deve essere vicino alla comunità, non solo aziendale. “Imprese e sindacati, quindi, non si devono accontentare di un pacchetto di welfare qualunque e dovrebbero prestare molta attenzione al coinvolgimento dei lavoratori mentre stilano il piano”, ha detto Perfumo.
Coesione aziendale, sostenibilità sociale, valore economico sono quindi gli elementi emersi con forza dal Rapporto: “Il welfare aziendale può dare veramente un contributo determinante al welfare state del nostro Paese, sia in termini di assistenza sia di integrazione, come si è visto durante questi mesi di crisi sanitaria”, ha concluso Perfumo.