Il secondo welfare delle Fondazioni di origine bancaria

Il secondo welfare delle Fondazioni di origine bancaria

La filantropia istituzionale sta assumendo un ruolo sempre più importante. In particolare per i finanziamenti messi a disposizione per il welfare comunitario.

 

Le Fondazioni di origine bancaria (Fob) sono parte fondamentale del cosiddetto “secondo welfare”: operano come “un volano per il volontariato e per tutto il Terzo settore” (definizione dell’Acri, l’Associazione di Fondazioni e Casse di Risparmio). Il 40% circa delle erogazioni elargite da esse nel 2018 è stato destinato a iniziative legate al welfare.

 

Tuttavia, sarebbe improprio misurare il contributo delle Fob al (secondo) welfare utilizzando come unico indicatore la consistenza delle risorse economiche messe a disposizione dei rispettivi territori. Infatti, soprattutto negli ultimi anni, esse stanno compiendo uno sforzo importante nella promozione e nel sostegno di processi di innovazione sociale, partecipati e sostenibili nel tempo.

 

Sempre di più le Fondazioni stanno passando da un’impostazione esclusivamente o principalmente erogativa a una logica aggregativa e di coordinamento delle risorse dei territori in cui operano. Lo fanno prevedendo sempre più spesso, nei bandi, quote di cofinanziamento, partnership premianti, metodi di monitoraggio e valutazione di impatto che garantiscano continuità alle azioni e sostenibilità.

 

Forte legame con il territorio

 

Su 86 Fondazioni di origine bancaria italiane, ben 19 sono emiliano-romagnole. Un record assoluto, indicativo delle caratteristiche del tessuto socio-economico della regione. Abbiamo dunque chiesto a Giusella Finocchiaro, Presidente della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, di raccontare a Tuttowelfare.info alcune delle caratteristiche della realtà di cui è a capo. E il tema del territorio è senz’altro il primo ad emergere.

 

Il legame tra le Fob e i luoghi in cui sono situate non è presente solo nei bandi di finanziamento, ma anche nella volontà di co-progettare con i diversi attori le azioni da sostenere. Anche l’analisi dei bisogni, sempre più di frequente, viene condivisa con gli enti pubblici e le associazioni: Finocchiaro fa il caso di un bando rivolto al contrasto alla violenza di genere. È l’esempio di una call che nasce dall’analisi dei bisogni del territorio, proseguendo poi per la raccolta di proposte e la successiva messa in rete delle associazioni partecipanti.

 

Questo metodo di condivisione evita uno spreco di risorse, una moltiplicazione di azioni tutte simili e garantisce una maggiore sostenibilità nel tempo dei progetti, oltre che una maggiore aderenza ai bisogni del territorio. Ciò mette in risalto il ruolo sempre più attivo della Fondazione, che non si limita a erogare fondi e a verificare che vengano ‘spesi bene’, ma si rende protagonista dei processi.

 

Come osserva Finocchiaro, non si tratta più di “erogazioni”, ma di “investimenti” per il welfare locale. Già nei bandi, infatti, sono esplicitati, tra i criteri di valutazione, la capacità di fare rete, di integrare la proposta con quanto già esistente, ma anche la sostenibilità stessa. D’altra parte, Bologna è una realtà particolarmente disponibile alla cooperazione e incline ad accogliere le novità.

 

Gli spazi fisici come risorsa di welfare

 

Un’altra risorsa importante, talvolta sottovalutata, che la Fondazione offre al territorio su cui agisce, in termini di benessere di comunità, è la messa a disposizione di spazi. L’ente, infatti, dispone di luoghi di alto valore artistico e simbolico, siti nel cuore della città: sono spazi che vengono offerti gratuitamente alle diverse realtà di Terzo Settore che ne fanno richiesta. Anche questa forma di apertura alla cittadinanza contribuisce al benessere comunitario, perché si tratta, spesso, di luoghi d’arte che divengono fruibili gratuitamente a tutti.

 

Non solo: in essi vengono offerte numerose iniziative culturali a libero accesso, come concerti, mostre, rappresentazioni teatrali. Le ricadute sul welfare di comunità non possono che essere positive: come ricorda la Presidente, “anche la sola possibilità di ritrovarsi in luoghi fisici e non virtuali, oltretutto usufruendo di attività aggregative gratuite, consente di superare quel crescente isolamento individualista dato dalla rivoluzione digitale che stiamo vivendo, per riappropriarci della nostra dimensione sociale”.

 

Sempre più spesso, inoltre, la Fondazione riveste un ruolo di collegamento “tra enti pubblici, di Terzo settore e aziende, cercando di responsabilizzare queste ultime nei confronti del territorio che le ospita e delle necessità di esso”. Per esempio, durante la crisi economica del Teatro Comunale di Bologna, fu proprio la Fondazione a compiere uno sforzo di coinvolgimento e coordinamento delle diverse aziende private, che contribuirono a salvarlo dalla chiusura.

 

Allo stesso modo, nel difficile contesto del carcere minorile, si sono svolte azioni parzialmente finanziate dalla Fondazione, che al contempo ha fatto da tramite con diverse aziende profit, che hanno poi deciso di investire in progettualità comuni da svolgersi in esso. Nei propositi per il futuro c’è proprio questo: il tentativo di una crescente collaborazione con le aziende private, oltre che con l’ente pubblico e il no profit, per rendere sempre più di qualità il welfare locale.

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