Giovani e mondo del lavoro: quando i soldi non comprano la felicità
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Giovani e mondo del lavoro: quando i soldi non comprano la felicità

Transgenerazionale e iper-competitivo. Le sfide e le opportunità che oggi offre il mondo del lavoro sono tante così come le generazioni che devono coesistere con delle specificità sempre più distinte: mentalità diverse, obiettivi diversi e una diversa visione della vita e delle sue priorità. Ma cosa si aspettano i nuovi lavoratori dal proprio lavoro? A cosa sono realmente interessati e quali sono le nuove difficoltà da affrontare?

 

L’incontro tra generazioni, lo scontro tra valori

La società sta cambiando e gli aspetti socio-demografici di base come la bassa natalità e la crescente aspettativa di vita stanno ridefinendo il panorama sociale e quindi quello lavorativo. Oggi la situazione in cui un baby boomer lavora a fianco di un giovane trentenne non è solo lo specchio di due generazioni che convivono, ma rappresenta anche lo scontro tra due concezioni del lavoro plasmate su necessità e bisogni differenti. Col tempo si è passati da una mentalità lavoro-centrica tipica della generazione nata tra gli anni ‘50 e ‘60, a una generazione che sta iniziando a rimettere se stessa al centro delle preoccupazioni, che non vive per lavorare ma che lavora per vivere. I cambiamenti che hanno influito sul cambio di paradigma delle generazioni relativamente al mondo del lavoro, sono tanti: dalla crisi economica del 2008, alla crescente digitalizzazione fino ad arrivare alla pandemia che ha accelerato bruscamente tutte quelle forme di lavoro ibrido e full remote che oggi molte aziende danno per scontato.

 

Cosa cercano i giovani

Al contrario di qualche vecchio cliché, le nuove generazioni hanno voglia di lavorare e di mettersi alla prova, sono propense alle nuove sfide e soprattutto sono disposte al sacrificio. Secondo un’analisi di Zety, sito di consulenza professionale che riunisce oltre 40 milioni di persone al mondo, lo sviluppo personale (35%), l’ambizione di mettersi alla prova (28%) e le responsabilità familiari (28%) sono i tre fattori che motivano più di altri la GenZ al lavoro. Fuori dal podio il denaro, che nonostante sia importante viene messo, più che volentieri, in secondo piano se paragonato al raggiungimento dei propri obiettivi di carriera.

 

In questo scenario le aziende devono supportare lo sviluppo professionale e personale del singolo dipendente e cercare di non trascurare quelli che sono i nuovi bisogni. Già perché le giovani generazioni una cosa l’hanno capita, il lavoro è centrale purché non sfoci in ansia, paura e stress cronico in una parola burnout. Stiamo parlando della nuova piaga del XXI secolo che l’Oms ha riconosciuto come una condizione medica associata allo stress da lavoro. Secondo un recente sondaggio condotto dal McKinsey Health Institute si stima che la percentuale di lavoratori, a livello globale, che sperimenta sintomi di burnout sia intorno al 20%. Rispetto al passato temi come: la salubrità sul luogo di lavoro, i carichi eccessivi e le scadenze troppo ravvicinate hanno assunto maggiore importanza, soprattutto per le generazioni più giovani.

 

Se spostiamo l’attenzione sull’Italia, sempre secondo il McKinsey Health Institute, circa il 16% dei lavoratori ha provato almeno una volta i sintomi di un eccessivo stress da lavoro e a subire maggiormente questo stato di stress cronico sono proprio i lavoratori più giovani. Come confermato anche da un sondaggio pubblicato su People Management, il 50% dei dipendenti appartenenti a GenZ e Millennial si sente stressato sul posto di lavoro per la maggior parte del tempo. Tra loro, l’80% sarebbe addirittura pronto a rassegnare le dimissioni per colpa di una cultura aziendale tossica.

 

L’importanza del luogo sano dove lavorare

Un ambiente lavorativo stimolante, sano, capace di far crescere in parallelo il professionista e la persona, un luogo dove sentirsi se stessi e dove poter mettere a frutto gli anni di studio: ecco il desiderio delle nuove generazioni. Tuttavia un recente sondaggio realizzato da Hacking Talents, prima piattaforma digitale che realizza programmi HR data-driven, in collaborazione con Factanza, media company punto di riferimento per l’informazione sui social, ha evidenziato che solo 2 giovani su 5 hanno la possibilità di esprimersi liberamente all’interno del loro contesto lavorativo mentre il 64% ha dichiarato di provare ogni giorno una condizione di stress. Questo mette in luce come non sia così scontato un luogo di lavoro in cui poter esprimere se stessi e quindi il proprio potenziale, più del 40% degli intervistati lamenta una forte carenza di relazioni empatiche, tendenza che conferma i crescenti livelli di stress e solitudine riportati quotidianamente in ambito lavorativo.

 

Insomma, da questo contesto è facile capire come il tema economico non è più  così centrale come un tempo, al contrario le motivazioni legate alla salute psico-fisica sono il nuovo credo. In questa fase ascoltare diventa vitale per le aziende, perché la soddisfazione si trasforma in produttività e la produttività in attaccamento. Prendersi cura dei propri dipendenti, offrire percorsi di formazione, supportare la genitorialità e adottare politiche di welfare in grado di far sentire la persona al centro delle decisioni aziendali diventa la migliore soluzione per aiutare tutte le generazioni nella ricerca della loro felicità.

 

Pubblicato originariamente sul numero di marzo di TouchPoint Magazine

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