Creare occupazione, il ruolo del Terzo settore e delle imprese sociali

Creare occupazione, il ruolo del Terzo settore e delle imprese sociali

 Le filiere cooperative dovrebbero dotarsi da un lato di una cultura di investimento sociale, dall’altro di funzioni specialistiche in ambito finanziario e digitale

 

La parola “inclusione” può avere tanti significati, ma riferendosi alla società vuol dire appartenere a qualcosa e sentirsi accolti. Anche a lavoro. È ormai appurato, infatti, che includere in azienda soggetti vulnerabili, erogare servizi territoriali, prendersi cura della comunità producono un potenziamento del territorio in termini di competitività e coesione. Il Terzo settore e le imprese sociali stanno acquisendo un ruolo sempre più centrale nel raggiungere questi obiettivi, come rivela la ricerca condotta dall’Associazione italiana per la promozione della cultura della cooperazione e del non profit (Aiccon), con il sostegno e la collaborazione di Ubi Banca (Gruppo Intesa Sanpaolo) e della sua divisione Ubi Comunità, specificatamente rivolta al Terzo settore e all’economia civile.

 

Lo studio ha voluto osservare il contributo della produzione come fatto sociale e, in particolare, l’apporto della cooperazione di inserimento lavorativo operante in quattro filiere: abitare sociale, turismo sociale, agricoltura sociale e welfare culturale. Prendendo in considerazione oltre 1.200 realtà tra il 2017 e il 2018, il settore del turismo sociale (che ha l’obiettivo di garantire a tutti l’accesso alla vacanza e contro l’esclusione di chi dispone di minori mezzi finanziari o capacità fisiche ridotte) è risultato quello maggiormente in grado di ottenere risultati positivi e in crescita sia rispetto alla redditività dell’organizzazione (+82% di utile in media) sia dell’occupazione (+78% di dipendenti in media).

 

Paolo Venturi, Direttore di Aiccon, conferma che il turismo sociale e il welfare culturale hanno dei tassi di crescita enorme, “sono dei veri e propri mercati a parte”: “La fruizione della cultura attraverso il digitale, attualmente, può essere un traino della ripresa al pari dell’agricoltura sociale, perché sono le filiere più vicine ai cittadini e al loro benessere”.

 

Un ulteriore focus della ricerca ha osservato la capacità di costruire partnership attraverso i contratti di rete, tratto caratteristico dell’agricoltura sociale (il 50% dei contratti di rete si sviluppa in questo ambito). Elemento comune dei contratti analizzati è proprio la condivisione dell’obiettivo perseguito in termini di costruzione di filiere e di ampliamento delle possibilità di inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati.

 

Portare avanti un progetto di welfare culturale, per esempio, obbliga gli organizzatori a coinvolgere vari soggetti pubblici e privati. Allo stesso modo, l’agricoltura sociale organizza solitamente progetti con le scuole o altri enti, e l’abitare sociale ricostruisce un tessuto relazionale: “Fare rete è il loro modus operandi da sempre, non è solo un elemento per difendersi dalla crisi”, spiega Venturi. “Per questo l’intersezione tra filiere è una prospettiva di sviluppo, ed è possibile quando le organizzazioni si concepiscono come imprese”. Per Venturi ci sarebbero quindi i mezzi per fare rete, ma mancano la cultura imprenditoriale, le funzioni manageriali e finanziarie.

 

Queste filiere dovrebbero dotarsi da un lato di una cultura di investimento sociale, dall’altro di funzioni specialistiche in ambito finanziario e digitale. “Molte imprese sociali hanno non lo fanno perché non hanno propensione al rischio o una rete di servizi che le supporta: una rete efficiente infatti potrebbe includere anche servizi di consulenza in questo campo”, conclude il Direttore di Aiccon.

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