Come gestire i conflitti interni e salvare il benessere aziendale

Come gestire i conflitti interni e salvare il benessere aziendale

Malintesi e modalità comportamentali differenti legati al gap generazionale possono sfociare in conflitti e compromettere clima e  business aziendale. Per questo vanno gestiti per tempo. Internamente o con l’aiuto di consulenti esterni. Ma la mediazione è un’arte che i dipendenti possono imparare. Con una formazione ad hoc.

 

Ana Uzqueda

Creare un ambiente di lavoro rilassato e produttivo significa anche essere in grado di gestire in modo proficuo i conflitti che inevitabilmente si creano all’interno delle organizzazioni di qualsiasi dimensione. Malintesi, incomprensioni, incompatibilità caratteriali, modalità comportamentali differenti legati al gap generazionale che sfociano poi in conflitti il cui comune denominatore è la mancanza di dialogo e soprattutto la mancanza di consapevolezza  di quale sia stata la loro origine e delle loro dinamiche.  Tensioni però, che se ignorate per lungo tempo possono avere ripercussioni anche gravi sul business dell’azienda compromettendone la competitività sui mercati internazionali. Ma attenzione: il nemico da combattere è il conflitto negativo, già perché non tutti lo sono. «Se un’azienda non ha scontri interni il rischio è che sia una organizzazione piatta dove non c’è motivazione tra i dipendenti o che sia un’azienda dove le persone preferiscono non dare opinioni per paura che esponendosi si creino tensioni che possono danneggiarle e questo è un disvalore», spiega Ana  Uzqueda, Vicepresidente dell’Associazione Equilibrio & Risoluzione dei Conflitti, ente italiano che si occupa dello sviluppo e della creazione di sistemi stragiudiziali di risoluzione delle controversie ad ampio raggio (mediazione civile e commerciale, negoziazione arbitrato, mediazione in ambito sociale, educativo, organizzativo, ambientale e urbanistico), attraverso la ricerca, la formazione, la consulenza e la creazione di servizi di mediazione. «Ma i conflitti in ambito aziendale nati dal confronto di idee diverse possono essere positivi, soprattutto quando fanno  emergere o evidenziano l’esistenza di processi, modalità operative o organizzative che sarebbe meglio modificare per favorire il business», prosegue Uzqueda. «In questo caso, le persone coinvolte nel conflitto, se ben gestito, creano valore per tutti». Dunque una leadership efficace facilita dinamiche di comunicazione che stimolano costruttività e caratterizzano alla cooperazione. Del resto lo scambio di idee, da sempre, è uno strumento per raggiungere risultati migliori.
«Al contrario, le situazioni in cui è presente un conflitto distruttivo, sono contraddistinte da un tipo di comunicazione competitiva, dove l’obiettivo principale è quello di affermare il punto di vista del singolo a discapito di quello del team di lavoro», precisa Uzqueda. Atteggiamenti negativi che anziché costruire qualcosa di nuovo distruggono l’esistente con  conseguenze negative per tutti. «E per questo, appunto vanno gestite per tempo», sollecita l’esperta.

 

Il 118 del conflitto aziendale

 

Ma chi deve gestire questo genere di tensioni e come? In alcuni casi possono essere governate da professionisti delle risorse umane interne all’azienda, per esempio quando un dipendente arriva al punto di decidere di licenziarsi o quando i lavoratori stanno per perdere il rispetto reciproco o comunque quando tutti questi atteggiamenti stanno intaccando l’efficacia del team. Ma quando la direzione HR non ha il tempo o le giuste competenze per prendere in mano la situazione oppure si tratta di dinamiche delicate, come quelle che hanno risvolti legali, possono intervenire consulenti esterni.
«La nostra proposta invece è quella di formare le persone in azienda per insegnare loro come si gestisce un conflitto. Siamo convinti che questa sia la formula migliore per tutti i livelli della piramide aziendale: dagli operai ai dirigenti», spiega Uzqueda. «La prima cosa che facciamo quando veniamo chiamati in un’organizzazione è un’analisi dei conflitti reali e potenziali, operazione che in genere viene condotta con l’aiuto dell’imprenditore. Dopo aver fatto la diagnosi mettiamo in atto, a seconda dei casi, azioni diverse. Una potrebbe essere quella di inviare un nostro coach per fare formazione mirata sulla gestione dei conflitti a tutto il personale. Durante il corso, poi, possono poi essere individuati persone con caratteristiche carismatiche particolari da selezionare per poter formare come mediatori interni dei conflitti a tutti i livelli». Queste figure però potrebbero essere viste dal resto della popolazione aziendale come soggetti non legittimati a gestire le tensioni, annullandone l’efficacia. «Quando ciò accade facciamo intervenire il coach che ha condotto la formazione interna, e che ha già conquistato la fiducia del personale, come figura di mediatore esterno. La fiducia in questo genere di processi è un elemento fondamentale per ottenere risultati», afferma l’esperta.

 

Il manager della felicità è un’altra cosa

 

E chi pensa a fare paragoni con il manager della felicità è fuori strada. «Quest’ultimo si occupa solo di aspetti personali a livello di benessere, professionisti come noi, invece, gestiscono la conflittualità a livello globale», afferma il Vicepresidente dell’Associazione Equilibrio. «Interveniamo per esempio anche in casi di passaggio generazionale, per facilitare questa delicata operazione ed evitare che possa mettere in pericolo la sopravvivenza dell’azienda. E poi analizziamo e gestiamo anche le conflittualità esterne alle imprese, per esempio contenziosi con clienti della società,  fornitori, agenti di commercio, banche, creditori. Qualsiasi tipo di contenzioso potenziale o in atto può essere riconducibile alla mediazione, che è molto più economica di un’ azione legale e permette all’ imprenditore di avere il controllo sul risultato», chiosa l’esperta.

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