Basta un poco di welfare e il calo demografico va giù

Basta un poco di welfare e il calo demografico va giù

Le politiche di sostegno alla maternità e la riduzione delle disuguaglianze possano favorire l’economia e la società: consentono di superare molte diseguaglianze socio-economiche, non solo nell’immediato. Ecco perché serve un accordo tra aziende e istituzioni.

 

Mentre il Governo si pone per il 2021 l’obiettivo degli asili nido gratuiti, un piccolo Comune della prima periferia bolognese, San Lazzaro di Savena, anticipa tutti e, utilizzando fondi regionali, rende possibile la gratuità già dall’anno scolastico 2020-21. Il sindaco Isabella Conti, tuttavia, ha raccolto qualche critica, perché accusata di “dare tutto a tutti”.

 

Conti, invece, sostiene fortemente l’idea, osservando che, se l’istruzione è gratuita dalla materna, non c’è motivo per cui non debba essere così già dal nido: questa misura, a suo avviso, permette di superare molte diseguaglianze socio-economiche, non solo nell’immediato, ma anche attraverso il sostegno indiretto all’inserimento delle mamme nel mondo del lavoro. Un tema, quest’ultimo, sempre più al centro delle politiche di welfare aziendale di molte organizzazioni.

 

Partendo da questa osservazione abbiamo chiesto ad Alessandro Rosina, Professore Ordinario di Demografia e Statistica sociale nella Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano, dove è anche Direttore del centro di ricerca Lsa (Laboratorio di statistica applicata alle decisioni economico aziendali), se condivide l’idea che la misura della gratuità dei nidi possa incidere sia sulla crescita demografica, sia sul contrasto alle diseguaglianze.

 

Secondo il demografo, “è ben strano che ci siano critiche sulla scelta di potenziare copertura e accessibilità dei servizi per l’infanzia, il cui ruolo, come mostrano oramai molte ricerche, è cruciale sia per la conciliazione tra lavoro e famiglia sia per lo sviluppo educativo dei bambini”. Rosina vede dunque con favore l’iniziativa del piccolo Comune cui, pare, seguirà la misura di livello nazionale.

 

L’obiettivo, a suo avviso, “deve essere quello di un servizio rivolto a tutti e di qualità, con particolare attenzione alle famiglie più svantaggiate”. Sono soprattutto queste ultime a subire maggiormente il peso dei costi, spesso proibitivi, degli asili nido, oltre che la carenza di posti disponibili in molte città italiane: “È soprattutto sulle famiglie svantaggiate che la carenza di conciliazione porta a rinunciare al lavoro e ad aumentare il rischio di povertà economica”.

 

Ed è ancora per queste, secondo il Professore, “che il nido di qualità può dare i maggiori benefici sul piano formativo e dello sviluppo cognitivo”, sopperendo evidentemente a carenze interne. Ma le ricadute positive riguardano comunque tutti i bambini e le famiglie: “Poter fare la scelta di un figlio sapendo che attorno c’è un ambiente favorevole aiuta poi ad avere un figlio in più anziché uno in meno”, osserva Rosina, confermando dunque le possibili ricadute positive della misura anche sul “riempimento delle culle vuote”.

 

Misura di sostegno alla maternità

 

Come dicevamo, tuttavia, la scelta della gratuità dei nidi non ha incassato solo consensi. Per esempio, un’altra critica emersa riguarda il fatto che questa misura, secondo alcuni, costituirebbe un vantaggio solo per le mamme che lavorano e/o desiderano lavorare, mentre penalizzerebbe chi sceglie di restare a casa. Queste ultime (ma, forse, anche le mamme lavoratrici) non verrebbero persuase a fare più figli semplicemente dalla gratuità del nido o comunque dalla presenza di servizi di conciliazione.

 

D’altra parte, la possibilità che più donne si immettano nel mercato del lavoro vale diversi punti di Prodotto interno lordo: è la considerazione alla base della cosiddetta womenomics, teoria socioeconomica sviluppata alla fine degli Anni 90 da Kathy Matsui. Quest’ultima, ricercatrice della nota banca d’affari Goldman Sachs, scrisse un rapporto sulla crisi economica che colpiva il Giappone in quegli anni, concludendo che il Paese si trovava in una fase di recessione economica perché non lasciava spazio alle donne.

 

Matsui arrivò ad asserire che, se i paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) avessero allineato i propri tassi di occupazione femminile ai livelli di quello maschile, il loro Pil sarebbe cresciuto mediamente del 12%. Sempre a suo avviso, l’Italia sarebbe stato uno dei Paesi che maggiormente avrebbe potuto beneficiare di una svolta economica “in rosa”: portando il tasso di occupazione femminile dal 47% al 70% circa, il Pil sarebbe cresciuto quasi del 17%.

 

Verso la riduzione delle disuguaglianze

 

Fantascienza o ricetta efficace contro le diseguaglianze? Secondo Rosina “non si tratta di imporre un modello”: “C’è chi desidera dedicarsi totalmente alla famiglia e chi concentrarsi solamente sul lavoro. Nessuno mette in discussioni tali scelte. Ma c’è anche chi vorrebbe poter realizzarsi in entrambe le due dimensioni ed è bene che possa contare su tutti gli strumenti utili per riuscirci con successo”. In caso contrario, infatti, “obblighiamo quest’ultima categoria di donne a rinunciare al lavoro o rinunciare ad avere figli”.

 

È esattamente questo che porta l’Italia a continuare ad avere “la peggiore combinazione tra bassa occupazione femminile e bassa fecondità in Europa”. A rinunciare al lavoro in presenza di figli sono soprattutto le donne che appartengono alle classi sociali medio-basse, “con la conseguenza di elevare il rischio della povertà infantile”. L’investimento sui nidi, dunque, aiuta “non solo a sostenere la natalità, ma anche a promuovere l’occupazione femminile e a ridurre le disuguaglianze”.

 

Secondo il demografo si tratta, quindi, di “un vero e proprio investimento sociale, perché consente nel tempo di ridurre i costi degli squilibri sociali e demografici, promuovendo anche benessere e ricchezza attraverso una maggior partecipazione delle donne al mercato del lavoro”. Certo, gli asili nidi da soli non bastano, “ma sono uno dei tasselli cruciali delle politiche familiari intese come politiche di promozione e sviluppo”.

 

Collaborazione tra istituzioni e aziende

 

Naturalmente non sono solo le istituzioni a poter incidere positivamente sul welfare locale, offrendo misure di conciliazione. Anche le aziende possono contribuire, non limitatamente a quanto offerto ai propri dipendenti, ma rendendone beneficiaria tutta la società.

 

Infatti “tutte le misure di welfare, pubblico o aziendale, che consentono di integrare positivamente il percorso professionale e la realizzazione in ambito familiare, producono conseguenze positive sia sulla produttività e sul clima nell’ambiente di lavoro, sia sulla società, riducendo svantaggi e rinunce che portano a diseguaglianze e frustrazioni, sia sull’economia in generale, perché consentono alle donne di valorizzare al meglio il proprio capitale umano attraverso scelte di piena realizzazione”.

 

Ecco dunque che Rosina osserva con benevolenza le misure di welfare aziendale, in relazione ai benefici sociali generali: “Sono misure che entrano pienamente nell’idea di un welfare inteso come investimento sociale, che, in una logica win-win-win, produce ricadute positive prima di tutto sulle persone, poi sulle aziende in cui lavorano, ma anche nella società e sul territorio in cui vivono”.

 

Possiamo affermare, quindi, che anche in relazione alla crescita demografica di un Paese il welfare aziendale ha un ruolo importante: “Come molte ricerche evidenziano, il successo delle aziende è sempre più legato all’investimento attivo sul capitale umano e sociale, che porta a mettere al centro la persona”.

 

I dati del Rapporto giovani dell’Istituto Toniolo evidenziano, in particolare, come il desiderio delle nuove generazioni “non sia tanto quello di porre confini al lavoro per dare più spazio alla vita libera dal lavoro, ma di contaminare i due territori e soprattutto riempire di vita il lavoro, in termini di passioni e interessi”, riferisce il docente.

 

Altro segnale interessante, a suo avviso, “è il desiderio dei giovani padri di sviluppare fin dalla nascita un rapporto più intenso e continuativo con i figli”. Dato però che il mondo del lavoro, le esigenze delle famiglie, le preferenze delle nuove generazioni sono in continua evoluzione, “più che un welfare calato dall’alto serve sperimentare dal basso soluzioni nuove e una integrazione efficiente tra varie possibili offerte del pubblico e del privato”.

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