Social Recruiting: come i profili social dei candidati influenzano le decisioni dei recruiter
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Social Recruiting: come i profili social dei candidati influenzano le decisioni dei recruiter

Post, condivisioni, tag e stories una vita resa sempre più pubblica grazie ai social network, anche quando si parla di lavoro. Secondo una ricerca di The Adecco group oltre il 50% dei recruiter viene influenzato dai contenuti e dai profili social dei candidati.

 

Il Social Recruiting

Partiamo con il dire che vista l’epoca in cui viviamo non essere influenzati da quello che vediamo sui social media è difficile. Aziende e brand li utilizzano per dar voce alla loro narrazione e per pubblicizzare prodotti mentre le persone per condividere momenti di vita quotidiana. Siamo quindi, volontariamente, sovraesposti e può capitare che i nostri post influenzino l’opinione altrui. Anche quando si parla di lavoro.

Infatti, sempre più spesso i social vengono utilizzati e consultati anche in fase di recruiting; rispetto al passato chi si occupa di risorse umane ha molte più frecce al proprio arco per capire con chi ha a che fare, ancora prima di avere un colloquio diretto con il candidato.

Stiamo parlando del fenomeno del social recruiting. Il termine, come si può facilmente desumere, indica l’utilizzo, da parte delle aziende, dei social per ricercare e ingaggiare potenziali candidati. Il fenomeno nasce dello spostamento della domanda/offerta di lavoro e del relativo processo di selezione, sull’online.

Come confermato da una recente ricerca svolta da The Adecco group, negli ultimi anni chi si occupa di selezione utilizza quotidianamente i social (sia quelli dedicati al mondo del lavoro, come Linkedin, sia quelli più “leggeri” come Facebook e Instagram) per studiare i contenuti che un candidato pubblica. In questo modo è possibile trarre le prime, seppur superficiali, conclusioni.

 

Un recruiter su due è influenzato dai social

La ricerca, che ha sondato un campione di 500 professionisti, aveva come scopo capire l’approccio ai social network da parte dei recruiter durante il percorso di selezione.

Quanto emerso è che più del 50% degli head hunter è stato influenzato in modo negativo dopo aver controllato il profilo social del candidato. Dato questo che se paragonato al passato è in continua crescita. Infatti, la stessa ricerca condotta nel 2014 aveva mostrato come solamente il 12% dei recruiter fosse influenzato dal pubblicato dei candidati, nel 2021 la quota era salita al 30,8% e oggi, come detto, ha superato la metà.

Secondo gli intervistati il fattore che più influenza negativamente è la presenza di foto ritenute inappropriate (37%) seguito dalla presenza di alcuni tratti di personalità, ben visibili dai contenuti, e classificati come non idonei per procedere a uno step successivo (27%).

Infine per il 17% a incidere negativamente è la componente, spesso di natura discriminatoria, manifestata attraverso commenti e opinioni di stampo sessista e/o razziale.

A confermare questa tendenza le parole di Lidia Molinari, people advisor director di Adecco Italia, che afferma: “l’utilizzo dei social media da parte dei candidati influenza sempre più le decisioni di reclutamento. I dati dimostrano che il social screening è uno strumento decisivo nel processo di selezione per oltre la metà dei recruiter, che lo sfruttano non solo per ricercare i talenti, ma anche per la verifica dei candidati”.

 

I social per la selezione

Tra i canali social utilizzati per la ricerca dei candidati Linkedin si conferma senza sorprese al primo posto. Circa il 96% dei recruiter lo utilizza quotidianamente. Il 67% lo sfrutta per raccogliere le candidature, mentre il 60% per la ricerca di candidati passivi, cioè quelli che non stanno attivamente cercando un impiego e non si aspettano di ricevere proposte di lavoro.

Il curriculum del candidato resta ancora il punto di partenza, ma non è più così determinante come un tempo. Già, perché oggi dopo aver analizzato il cv lo step successivo è controllare la presenza del candidato online, cercando di trarre ulteriori informazioni.

Sempre secondo la ricerca di The Adecco group nel 65% dei casi l’interesse dello “spionaggio” riguarda le esperienze professionali, il background e le competenze sviluppate durante il percorso lavorativo, mentre nel 47% i contenuti che vengono postati. Per questo motivo Lidia Molinari aggiunge: “consigliamo a chiunque sia alla ricerca di una opportunità lavorativa, lo sviluppo di un personal branding sui social che tenga conto della selezione dei contenuti prima che essi vengano pubblicati e di porre attenzione alle modalità di interazione in rete”.

A questo punto la domanda che viene naturale porsi non è tanto se sia corretto giudicare un candidato da quello che posta nel suo tempo libero (quindi sui social per così dire non lavorativi) ma se dal postato si hanno tutte le informazioni sufficienti per poter affermare di conoscere e giudicare non idoneo un potenziale collega di lavoro.

 

Articolo pubblicato originariamente su TouchPoint Magazine

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