Stare bene al lavoro e nella vita privata (grazie al welfare)
Secondo un recente rapporto di Marsh McLennan, oltre il 70% delle organizzazioni ha aumentato la spesa per benefit in risposta al Covid. Lo stesso rapporto indica anche che l’85% dei team HR ritiene che il proprio ruolo sia diventato più vitale in azienda
Il welfare è sempre stato importante per le organizzazioni e i lavoratori, ma una pandemia globale – che ormai dura da oltre due anni – ha reso questa leva gestionale ancora più fondamentale. Secondo il recente rapporto di Marsh McLennan dal titolo The age of adaptability: A digital-first approach to benefits in a post-pandemic world, oltre il 70% delle organizzazioni ha aumentato la spesa per benefit in risposta al Covid. Lo stesso rapporto indica anche che l’85% dei team delle Risorse Umane ritiene che il proprio ruolo sia diventato più vitale per l’azienda dopo l’inizio dell’emergenza sanitaria. Del resto, negli ultimi anni il welfare aziendale ha costituito un ammortizzatore importante, in una fase tutt’altro che semplice per molti lavoratori in tutto il mondo.
Sono tre, in particolare, le aree di welfare in cui le imprese dovrebbero investire maggiormente, secondo gli esperti del rapporto. La prima è quella relativa alla salute mentale e al benessere: se in passato i benefit in questo campo consistevano in un piano medico ‘standard’, con coperture per un numero limitato di consultazioni e prestazioni professionali, oggi la salute mentale è diventata un argomento di primo piano e non più un argomento tabù da evitare sul posto di lavoro. Questo è sicuramente un risultato raggiunto in risposta al periodo di pandemia, ma il processo di cambiamento era già iniziato precedentemente, tanto che oggi sul mercato sono disponibili numerosi programmi dedicati alla salute mentale dei dipendenti e relative tecnologie di supporto.
L’equilibrio tra lavoro e vita privata passa anche dalla cura dei familiari
La cura dei bambini e di altri familiari è la seconda tendenza emersa dallo studio. Le imprese hanno la possibilità di favorire l’accesso a strumenti e risorse per l’assistenza dei componenti delle famiglie del loro collaboratori, alleviando lo stress dei lavoratori-caregiver e aiutandoli a inserire la cura di chi ne ha bisogno nel complicato bilanciamento tra lavoro e vita personale. La terza area in cui investire, strettamente legata alla precedente, è proprio quella dell’equilibrio tra vita professionale e personale. Il work-life balance non passa per forza dalla disconnessione: ci sono tecnologie che supportano le organizzazioni nell’incoraggiare, per esempio, le persone a utilizzare parte del tempo retribuito per raggiungere obiettivi che potrebbero essere utili anche alla vita professionale, come per esempio imparare una lingua straniera.
Avere tempo libero retribuito può ridurre il burnout e migliorare il coinvolgimento dei lavoratori e questa soluzione risulta particolarmente apprezzata da quelle persone che per motivi personali o di attitudine non usufruiscono pienamente delle ferie retribuite. Ci sono, infatti, alcune fasce di collaboratori che faticano a staccare, non prendono pause e arrivano a fine anno senza aver goduto di tutti i giorni di ferie previsti. Negli Stati Uniti, per esempio, la Us Travel Association ha rilevato che nel 2018 i lavoratori statunitensi non hanno utilizzato un totale di 768 milioni di giorni di ferie. Ogni tanto prendersi una pausa aiuta. E gli esperti lo confermano.
Fonte: HR Executive