L’impatto del caregiving sul welfare aziendale

L’impatto del caregiving sul welfare aziendale

Aumentano i caregiver in Italia. Colpa di un Paese che invecchia (peggio di noi c’è solo il Giappone). Le aziende devono iniziare a preoccuparsi di sostenere chi si prende cura degli altri. In particolare dei genitori anziani.

 

La conciliazione tra lavoro e famiglia è un tema centrale nella vita di tutti. Ma, spesso, non è così semplice trovare un equilibrio. I dati forniti dall’Istat offrono lo spunto per una riflessione sui cosiddetti “caregiver”, ovvero quelle persone che, accanto alla propria attività lavorativa, si prendono cura di altri: figli, parenti malati, disabili, anziani…

 

Nel 2018, 12,7 milioni di persone tra i 18 e i 64 anni (34,6%) sono stati – ed è probabile lo siano ancora – caregiver. Tra questi, quasi 650mila si sono occupati contemporaneamente sia dei figli minori sia di altri familiari. Fra i genitori occupati con figli minori di 15 anni, il 35,9% delle madri e il 34,6% dei padri hanno sottolineato la difficoltà di conciliare vita privata e lavoro.

 

Questa situazione, se non adeguatamente sostenuta, può generare stress e burnout, con conseguenti costi per le aziende in termini di perdita di produttività e di perdita di talenti. Le aziende cominciano a riconoscere la criticità di questa situazione, rispondendo con servizi di welfare a sostegno delle famiglie.

 

“Il tema del caregiving è collegato a quello dell’allungamento della vita”, esordisce Maurizio Zazzaro, Chief Revenue Officer di Life Based Value, l’azienda co-fondata da Riccarda Zezza che crea soluzioni per lo sviluppo del capitale umano.

 

L’Italia, infatti, è il secondo Paese più vecchio dopo il Giappone e, questo ‘record’, ha conseguenze: “Anche la vita lavorativa si è allungata e, più passa il tempo, più accadono situazioni che richiedono cure: si diventa genitori e quindi ci si prende cura dei figli, ma nello stesso tempo si continua a essere ancora figli di genitori che diventando anziani hanno certamente più bisogno di tempo e attenzioni”.

 

Gestire il nuovo equilibrio vita-lavoro

 

Secondi i dati Istat, la conciliazione dei tempi di lavoro con quelli di vita familiare risulta difficoltosa per più di un terzo degli occupati (35,1%). E il CRO di Life Based Value pone l’accento su un nuovo aspetto: se in passato era il lavoro a entrare nella vita, oggi, invece, sta succedendo il contrario. “Quando la vita entra nel lavoro, spesso le persone cercano quasi di nascondere determinate esigenze. Relativamente ai dipendenti con carichi di cura familiare, sappiamo che faticano a parlare in azienda della propria condizione, si ha paura che ciò possa influire negativamente sulla propria carriera”, dice Zazzaro.

 

Life Based Value ha lanciato da diversi anni il metodo Maam, acronimo di Maternity as a Master, un metodo di formazione che trasforma la genitorialità (e, in generale, tutte le intense esperienze di cura) in master per la crescita professionale. Questo metodo oggi è utilizzato da 70 aziende, conta circa 8mila partecipanti, ed è stato premiato a livello mondiale come innovazione sociale in grado di cambiare il paradigma del rapporto vita-lavoro.

 

“L’80% di chi partecipa al metodo Maam ritiene di aver migliorato notevolmente la maggioranza delle competenze, mentre il 90% dei partecipanti è più motivato, riscontra una migliore sinergia tra vita privata e vita lavorativa, ha più energia ed è meno stressato”, conferma Zazzaro.

 

Il tema della cura non riguarda, come si diceva, solo i genitori che devono crescere i figli. E per questo Life Based Value ha arricchito la sua offerta formativa con contenuti e strumenti indirizzati a tutti i caregiver in azienda, attraverso la soluzione integrata Life Ready, che comprende il master dedicato ai neogenitori, ma anche quelli per coloro che si prendono cura, per esempio, di un genitore fragile.

 

“Mentre si stima che in Italia ogni anno le aziende spendano oltre 1 miliardo di euro per la formazione delle soft skill dei propri dipendenti, noi abbiamo individuato 19 competenze ‘soft’ che l’attività di cura familiare mette in campo e potenzia”, continua il CRO di Life Based Value.

 

“Le nostre soluzioni formative partono dalle esperienze di vita che, per noi, sono delle vere e proprie palestre di soft skill, e insegnano come trasferirle anche sul lavoro. Il risultato è una maggiore efficacia e produttività, ma anche un maggiore coinvolgimento, dato che le persone partecipano a un percorso dedicato alla fase di vita che stanno realmente vivendo. In questo modo, l’azienda riesce a coinvolgere la quasi totalità della popolazione aziendale, poiché la cura familiare rappresenta una responsabilità che copre tutte demografie e tutti i livelli professionali. Quello dei caregiver familiari è un fenomeno in forte crescita, non si può più ignorarlo”.

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